di Donatella Barbetta
Sì alla disponibilità per dare una mano, no al taglio del budget: è la decisione presa ieri dall’assemblea regionale dell’Aiop, l’Associazione dell’ospedalità privata, sul tema rovente di questi giorni: i conti della sanità.
Presidente Luciano Natali, come proseguono i contatti con la Regione dopo l’ipotizzata riduzione di budget del 15%?
"Il 15% di cui si è sentito parlare immagino fosse una percentuale riferita a una cifra da recuperare, ma non a un taglio: sarebbe un percorso impraticabile", risponde il numero uno dell’Aiop in Emilia-Romagna.
Quindi avete deciso di dire no?
"Il nostro budget, di circa 300 milioni annui, è rimasto sempre uguale dal 2011, pur avendo subito dodici anni di aumenti inflattivi. Per le nostre imprese una riduzione è fuori da ogni logica di sostenibilità, questo discorso per noi è un tabù".
L’assessore regionale alla Sanità, Raffaele Donini, parlando di una riorganizzazione delle spese, ha precisato che "i sacrifici non possono ricadere solo sulla sanità pubblica". A questo punto, che cosa proponete?
"Siamo disponibili a dare una mano, cercando di recuperare costi che in passato hanno impegnato risorse extra budget, nella speranza che durante l’anno possano arrivare risorse aggiuntive dal Governo. Perché una cosa deve essere chiara".
Quale?
"Se vengono ridotte alcune prestazioni, sia visite specialistiche, sia esami diagnostici o interventi chirurgici, poi aumentano le liste d’attesa. E non si potrebbe andare avanti così a lungo, perché rischiamo di costringere i cittadini ad andare a cercare prestazioni sanitarie fuori della nostra regione, dove probabilmente ci sono realtà che hanno maggiori potenzialità rispetto al nostro territorio, come Lombardia e Veneto".
Come si traduce concretamente la disponibilità dell’Aiop?
"In questi giorni abbiamo avuto contatti quotidiani con il direttore generale Luca Baldino e l’assessore Donini e lunedì avremo un incontro di aggiornamento con la Regione in commissione paritetica: chiederemo di valutare, per ogni decisione che viene presa, le conseguenze che ne derivano per noi e per gli utenti. Insomma, è necessario un tavolo permanente. Al nostro interno c’è grande preoccupazione, se l’equilibrio finanziario viene messo in pericolo, alcune strutture rischiano un ridimensionamento o addirittura la chiusura".
Quante?
"Una metà subirà un’influenza fortissima se diminuirà l’acquisto dei servizi. Ne risentirà meno l’alta specialità, come la cardiochirurgia, perché arrivano da noi pazienti da tutta Italia, e la psichiatria. Le prestazioni sanitarie sono complesse da gestire e se ci verranno chiesti cambiamenti nelle linee produttive ci servirà tempo".
Può fare un esempio?
"Il tavolo permanente è necessario perché se si modificano le richieste, dobbiamo riconvertire i professionisti. Chi si occupa di protesi non fa le ernie e così via. Ci terrei a ricordare, infine, che facciamo parte del sistema sanitario e un cittadino che usufruisce di una prestazione in una struttura privata accreditata paga solo il ticket, come negli ospedali pubblici. Di fronte agli aumenti energetici, inoltre, le nostre spese sono cresciute di circa il 30%, ma le tariffe decise dal Servizio sanitario pubblico sono rimaste le stesse".