ALICE PAVAROTTI
Cronaca

San Petronio, ecco chi suona la campana

L’Unione bolognese porta avanti un’arte celebrata anche dall’Unesco. La segretaria Balboni: "Servono esercizio e lezioni strutturate"

L’Unione bolognese porta avanti un’arte celebrata anche dall’Unesco. La segretaria Balboni: "Servono esercizio e lezioni strutturate"

L’Unione bolognese porta avanti un’arte celebrata anche dall’Unesco. La segretaria Balboni: "Servono esercizio e lezioni strutturate"

Il suono avvolgente delle campane che riecheggia nell’aria, rievocando secoli di storia e tradizione, ha ormai trovato il suo riconoscimento: l’arte campanaria italiana è da pochissimo Patrimonio Immateriale dell’Umanità Unesco, a seguito della decisione del Comitato Intergovernativo della Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale, riunitasi ad Asunción. Tra i custodi di questa eredità spicca l’Unione Campanari Bolognesi, che da secoli preserva la cultura del campanile di San Petronio, culla della secolare tradizione nazionale. Ne darà oggi un assaggio, fra le 15.30 e le 17.30, con il suono a doppio delle campane dai principali campanili del centro storico. A illustrare il ruolo e le attività dell’Unione sul territorio è Alba Balboni, prima segretaria donna dell’associazione.

Alba Balboni, l’arte campanaria nacque proprio a San Petronio. "Sì, l’arte campanaria bolognese affonda le sue radici a metà del Cinquecento, a San Petronio. Fu allora che alcuni membri della Cappella Musicale decisero di codificare il ritmo delle quattro campane del campanile, che fino a quel momento suonavano senza una sequenza precisa. Qui inoltre si conserva ancora il telo di legno originale, che permette ai campanari di suonare in diretto contatto con le campane, e lo stesso accade anche nella nostra Cattedrale di San Pietro".

E l’Unione Campanari Bolognesi? "La tradizione è stata ulteriormente rafforzata nel 1912, quando un gruppo di 34 soci fondò l’Unione, la cui sede è sita proprio sul campanile della Basilica di San Petronio. L’obiettivo fu, ed è tutt’ora, quello di suonare le campane al servizio della liturgia e di tramandare il patrimonio culturale, e ad oggi l’Unione conta 130 soci attivi".

La tecnica di suono bolognese è molto particolare. "Si seguono quattro tecniche diverse, e ogni campanaro deve coordinarsi perfettamente con gli altri per creare armonia e sintonia, una peculiarità rispetto ad altre realtà dove il suono è spesso eseguito in solitaria".

In che cosa consiste la vostra attività? "Il momento più importante è il suono delle campane durante la Discesa della Madonna di San Luca, oltre alle festività religiose: dal Santo Patrono, alle celebrazioni natalizie e quelle di Capodanno, l’Immacolata, e le festività di santi come San Bartolomeo e San Procolo. In alcuni comuni della provincia si effettuano ancora le 40 ore di adorazione prima della settimana di Pasqua: i campanari risiedono in campanile per tre giorni e, dalle 7 di mattina alle 7 di sera, suonano a ogni ora. Oltre alle celebrazioni liturgiche, organizziamo un raduno annuale che culmina con una gara e allenamenti in campanili con campane di dimensioni ridotte per preparare i giovani campanari".

Dunque c’è spazio anche per le generazioni future? "Sì, ci sono allievi che si stanno appassionando, e abbiamo squadre giovani molto attive soprattutto a Persiceto e Decima. La tecnica bolognese richiede esercizio continuo e lezioni strutturate, e alcuni dei nostri maestri campanari si prestano all’insegnamento".

Il riconoscimento Unesco potrebbe aprire nuove opportunità? "Ce lo auguriamo. L’Unione è parte della Federazione Nazionale Suonatori di Campane, che ha presentato la candidatura al Ministero dei Beni Culturali. Speriamo che questo traguardo aiuti a promuoverla, favorendo anche collaborazioni istituzionali".