STEFANO PIRI
Cronaca

Roberto Baggio, il codino tagliato e l’amore per il Bologna

La biografia del campione scritta da Stefano Piri per i suoi 53 anni: da Usa ‘94 ai gol con la maglia rossoblù

Roberto Baggio ai tempi del Bologna

Roberto Baggio ai tempi del Bologna

Bologna, 27 febbraio 2020 - L’inizio simbolico del viaggio di purificazione di Baggio al Bologna è la rasatura dei capelli che si impone quasi come una penitenza o un rito di raccoglimento. Baggio li porta lunghi fino alle spalle da quando era ragazzino, e in qualche modo hanno seguito l’evoluzione del suo gioco: con il Vicenza e con la Fiorentina li lasciava liberi, con la Juventus ha preso l’abitudine di raccoglierli con un nastro.

Ma solo a Usa ‘94 una cameriera afroamericana ha acconciato il ponytail a treccine e lo ha decorato con piccoli nastri colorati, dando al famoso codino la sua forma più nota. Ora tagliarlo significa in qualche modo dare addio al campione globale , alla star corteggiata anche da Madonna, e diventare un calciatore di trent’anni del Bologna che lotta come una settantina di altri in Serie A per un posto in Nazionale. Anche i 22 gol che segnerà, sfiorando il titolo di capocannoniere, saranno in qualche modo meno spettacolari del solito, più asciutti ed essenziali, come se Baggio avesse voluto rinunciare a una parte di sé e disfarsi di tutto quello che non era strettamente necessario a raggiungere l’ultimo vero grande obiettivo della sua carriera: i Mondiali di Francia.

Il campionato 1997/98 inizia esattamente come nei timori di Ulivieri. Baggio insieme al numero 10 ritrova la capacità di strappare improvvisamente il tessuto delle partite. Segna subito su punizione con l’Inter, e all’inizio di novembre in sette giorni infuoca i rimpianti delle grandi squadre e le invocazioni di chi lo rivuole subito in Nazionale: contro il Napoli torna a segnare una tripletta in Serie A dopo quattro anni, poi contro il Vicenza, a casa sua, riesce a estrarre dal fango un gol incredibile nel vero senso della parola, ovvero talmente bello, difficile e folle, che è difficile credere che perfino uno come lui lo abbia fatto apposta: sterzata che mette a sedere Di Carlo, e poi dal limite corto dell’area di rigore un pallonetto di sinistro che supera la difesa schierata e il portiere, andando ad atterrare in rete.  

Il Bologna però poi perde la partita, e così anche molte delle altre: alla fine del girone di ritorno è in piena zona retrocessione. I fatti sembrano inchiodare Baggio alle critiche dei detrattori, che dopo qualche stagione di pausa ripropongono il motivetto del talento parassitario, del campione che per tornare ai suoi livelli (ha segnato 8 gol nel solo girone d’andata, ed è in competizione per la classifica marcatori) ha succhiato via l’anima a una squadra che senza di lui veniva da un settimo posto. Una teoria quantomeno semplicistica alla quale però sembra aderire Renzo Ulivieri, che prima delle feste convoca Baggio e gli dice: "Visto che mi dicono che sei bravo, e che i miei giocatori non riescono ad adeguarsi al tuo livello, d’ora in poi sarai tu ad adattarti al loro". Poi lo congeda, e per assicurarsi che non aleggino malintesi lo lascia in panchina per 90 minuti a guardare i suoi compagni che pareggiano con il Milan.  

Baggio resta in silenzio ma la prende malissimo , anche perché in settimana ha personalmente invitato tifosi e giornalisti a godersi un grande spettacolo ("Vorrei fare una bella partita a San Siro, dove mi hanno voluto bene, dove ho vinto uno scudetto. E vorrei battere una punizione, mettendola nell’angolo dove non c’è il portiere") e rannicchiato in panchina in tuta si sente come se tutto lo stadio ridesse di lui. Peggio ancora, si è confidato con i giornalisti: "Il calcio moderno è un po’ come il mondo moderno: svelto, frenetico. E all’origine dei miei problemi ci sono proprio quelle parole, la durezza che serve adesso" (nel 1998 si potevano ancora dire cose del genere, invece di vergognarci di pensarle continuamente come facciamo oggi).  

«Se fossi nato vent’anni prima avrei avuto meno disagi: avrei potuto viverla come Rivera». Ok, fermiamoci un attimo. Probabilmente anche voi state pensando con una punta di fastidio che al signor Baggio il calcio moderno piace eccome, ma à la carte: nessuno per esempio lo ha sentito lamentarsi di essere entrato nel 1994 nella lista dei 40 sportivi più ricchi del mondo di ‘Forbes’, una cosa che Rivera avrebbe potuto soltanto sognare: Baggio era l’unico calciatore e figurava al numero 35 in classifica, tra un pilota di Nascar e un pugile ex campione del mondo dei pesi piuma. Oggi, grazie a una celebrity culture globale che lui stesso ha contribuito a modellare, le prime tre posizioni sono tutte occupate da calciatori.

«Io ho sempre dovuto ricominciare da capo, ogni volta. Ammiro e invidio Baresi, che è potuto diventare una bandiera. La mia storia di calciatore è stata diversa, fatta anche di tante etichette, portato troppo in alto quando andava bene, troppo in basso quando andava male: io non vivo di soli gol, ma so che per quelli, dovendo ricominciare sempre, sono giudicato". Conclude con due battute, una serissima e una molto divertente, entro le quali è racchiuso il mondo di un uomo di trent’anni che si è stufato di avere le interrogazioni tutte le settimane come un ragazzino. Cosa darebbe per andare ai Mondiali? "Credo di aver già dato abbastanza". Adesso qual è il suo obiettivo? "Vorrei diventare il nuovo Del Piero".

di Stefano Piri, dal libro 'Roberto Baggio. Avevo solo un pensiero'