Un episodio praticamente sconosciuto ma cruciale della spedizione dei Mille, la grande macchina del cinema come raramente si vede in azione in Italia, con le battaglie, i costumi, i cavalli, le masse, l’alchimia che si compie tra attori speciali, i paesaggi emozionanti della Sicilia, terra di frontiera, come nei western. Questo è ’L’abbaglio’, l’ultimo film di Roberto Andò che ha voluto ancora con sé, per la quarta volta, Toni Servillo e che ha promosso, dopo ’La stranezza’ del 2022, il duo Ficarra e Picone, qui nei panni di Domenico Tricò, un contadino emigrato al Nord, e Rosario Spitale, un illusionista. Col duo sarà oggi alle 19,30 al Modernissimo, per presentare il film.
Roberto Andò, che possibilità narrativa le ha dato questa storia che racconta il ’trucco’ di Garibaldi durante la famosa spedizione?
"La storia mi è venuta proprio incontro alla fine de ’La stranezza’ e mi è sembrata un motivo sufficiente per riprovare con questo cast, l’unico con cui avrei potuto realizzarla. Come una parabola, è anche legata all’oggi. Ha dei caratteri paradossali che sono congeniali al tipo di lavoro che faccio, in cui mescolo elementi raccolti con scrupolo dalle vicende reali con l’innesto di elementi fantastici, immaginati".
Toni Servillo è una faccia della Sicilia e Ficarra e Picone sono l’altra, sono ‘volti’ attuali ancora oggi?
"Sì, e direi attuali anche dell’Italia. Il periodo raccontato si ripresenta tante volte, perché è lo spazio-tempo della rivoluzione in cui potrebbe cambiare tutto o nulla, con due forze contrapposte, l’illusione come propulsore del cambiamento, la disillusione e il cinismo come propulsore dell’immobilità. Il personaggio di Orsini è molto atipico, siamo nel 1860, è l’anno del Gattopardo e lui, un militare aristocratico, a differenza del principe di Salina, è come se si fosse dimesso dalla sua classe di origine, abbracciando ideali democratici. Dall’altra parte ci sono i due personaggi d’invenzione, due opportunisti che non colgono la novità di questo momento, ma li ritroviamo in un viaggio dove Orsini inizia ad avere dubbi sulla rivoluzione e il loro sguardo da cinico si trasforma, mutando quello stato d’animo che porterà a un gesto clamoroso. Questo è il punto di fuga nell’oggi, quello di un’Italia che vince e che ogni tanto fa dei gesti clamorosi e poi ricade dentro l’illegalità, la fuffa, la vita inventata giorno per giorno".
E ha promosso Ficarra e Picone.
"Con ’La stranezza’ ho fatto capire al pubblico che sono due attori seri, importanti, ma i comici sono sempre attori importanti che ci fanno ridere delle nostre miserie; spesso sono attori tout court e in questo film, ancora più che ne La Stranezza, si spingono nei territori del dramma, divertono e commuovono".
Salvo Ficarra, cosa ha fatto emergere di nuovo in voi, Roberto Andò?
"Ha fatto emergere nuovi colori che abbiamo aggiunto alla nostra tavolozza, ci ha permesso di frequentare altri stati d’animo. Mi piace paragonare gli attori ai pappagalli, perché ho scoperto che per imparare più parole il pappagallo deve girare più case. Non ho la certezza che sia vero, ma è affascinante".
I vostri ruoli, invece, cosa vi hanno risvegliato come siciliani?
"Discutere della storia con Roberto Andò, Toni Servillo e gli sceneggiatori, vedere l’evolversi dei personaggi, ci ha permesso di indagare ancora di più quel momento storico e di andare alla riscoperta del cuore ribelle che hanno i siciliani e che spesso si trascura. Sono un popolo rivoluzionario, indomito, ha sempre reagito a soprusi, violenze. Qualche tempo fa ho riascoltato un discorso del giornalista Giuseppe Fava, diceva che non c’è nessun popolo che ha combattuto la mafia come i siciliani, per parlare dell’ultima dominazione che abbiamo avuto. E Garibaldi, non a caso ha scelto la Sicilia, perché sapeva che i siciliani si stavano già ribellando ai Borboni. Questa identità, oggi, la dimenticano soprattutto i nostri governanti siciliani e continuano ad assoggettarci. Arriverà anche il momento".
Nel film, sottotitolato, parlate sempre in siciliano, avete dovuto studiare?
"Sì, abbiamo fatto un corso di siciliano perché non lo parliamo, sei mesi di lezioni a Brescia".