Bologna, 10 marzo 2021 - Al piano terra del padiglione giudiziario della Dozza, i lavori sono ancora in corso. "I danni sono stati quasi tutti sistemati, manca soltanto di provvedere all’automatizzazione dei cancelli", spiega chi lavora all’interno della casa circondariale. È passato un anno esatto da quando la rivolta di un centinaio di detenuti, degli allora 891 che allora il carcere di via del Gomito ospitava, è sfociata in due giorni di devastazione e follia. Era l’alba della pandemia italiana: per contenere l’avanzata dei contagi, alla Rocco d’Amato come negli altri istituti della penisola erano state annullate le visite in parlatorio. La rabbia tra la popolazione penitenziaria aveva cominciato a montare un po’ ovunque. A Modena la miccia era stata accesa e in breve la situazione era degenerata. Come un’onda, il giorno dopo la marea si è alzata a Bologna.
La rivolta era partita dalla sezione più problematica: il secondo piano giudiziario. I disordini erano durati due giorni. Alla fine, si contavano un milione e mezzo di danni, ventidue feriti (venti detenuti e due agenti) e anche un morto, un ragazzo tunisino di 29 anni, Kedri Haitem, stroncato da un’overdose da farmaci, rubati negli ambulatori al piano, saccheggiati durante quel caos. All’esito dell’autopsia e dell’esame tossicologico, a luglio scorso, la Procura, con la pm Manuela Cavallo, aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo relativo al decesso, accolta dal gip.
Un fascicolo distinto era invece stato aperto sulla rivolta, coordinato dalla pm Elena Caruso, con le indagini affidate a Penitenziaria e Squadra mobile: a novembre scorso, è stato notificato il fine indagine, atto che di prassi precede il rinvio a giudizio, a 49 detenuti. Tutti accusati, a vario titolo, di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, incendio e devastazione; due rispondono anche di tentata evasione. Otto di loro, secondo la Procura, avrebbero istigato i compagni alla rivolta. Per arrivare all’identificazione del corposo gruppo, gli inquirenti si erano avvalsi dei filmati della Digos, che aveva ripreso i rivoltosi sul tetto della Dozza; e pure dei video postati su Youtube girati dagli stessi detenuti. Tra i 49 indagati, compaiono anche David Santagata, pilastrino, fratello dei più noti William e Peter, e Sonic Halilovic, in carcere per l’omicidio del meccanico Quinto Orsi, avvenuto durante un tentativo di rapina.
A oggi, esclusi i due citati, la maggior parte dei detenuti indagati per i fatti del 9 e 10 marzo 2020 sono stati trasferiti. Alcuni immediatamente dopo la rivolta. E il processo non si è aperto: non è stata ancora fissata l’udienza preliminare, mentre i procedimenti disciplinari per i detenuti sono pendenti.
Dopo i disordini, l’anno del Covid alla Rocco d’Amato è filato via abbastanza liscio, tra tentativi di contenimento del virus e lavori in corso. "La popolazione penitenziaria – spiega il garante dei detenuti Antonio Iannello –, escluso un gruppo limitato che è poi quello individuato nel corso delle indagini, si era opposta ai disordini, tentando anche di fermare i compagni facinorosi, autori delle devastazioni. Oggi la situazione alla Dozza è sotto controllo, anche dal punto di vista dell’epidemia. Dopo il focolaio di dicembre, che ha causato molta apprensione, si contano solo due casi, subito isolati". Fuori dai cancelli della Rocco d’Amato c’è però chi tenta di rintuzzare i focolai di rivolta. Lo scorso 21 febbraio, un gruppo di anarchici si è ritrovato in via del Gomito, per una manifestazione in solidarietà con i detenuti in vista dell’anniversario della rivolta, con manifestazioni organizzate a livello nazionale nel corso della settimana appena trascorsa. Una manciata di giorni prima, gli stessi anarchici si erano ritrovati, in protesta, fuori dalla sede dell’amministazione penitenziaria in viale Vicini.