Riciclaggio e mafie: "Sotto le due Torri un humus favorevole per la criminalità"

Operazione della Guardia di Finanza smaschera vasto giro di riciclaggio di proventi della criminalità organizzata in Emilia-Romagna. Fenomeno radicato, non isolato. Settore ristorazione vulnerabile alle infiltrazioni. Necessaria maggiore collaborazione per contrastare il problema.

Riciclaggio e mafie: "Sotto le due Torri un humus favorevole per la criminalità"

Operazione della Guardia di Finanza smaschera vasto giro di riciclaggio di proventi della criminalità organizzata in Emilia-Romagna. Fenomeno radicato, non isolato. Settore ristorazione vulnerabile alle infiltrazioni. Necessaria maggiore collaborazione per contrastare il problema.

di Chiara

Caravelli

Professoressa Stefania Pellegrini, nei giorni scorsi un’operazione della Guardia di finanza ha smascherato un vasto giro di riciclaggio di proventi della criminalità organizzata. C’è stato un salto di qualità nel ramificarsi delle infiltrazioni?

"Da tempo operatori e studiosi sono concordi – spiega Pellegrini, docente di Sociologia del diritto e Mafie e antimafie all’Alma Mater – nel ritenere come nelle zone del nord del Paese, Emilia-Romagna inclusa, si stiano verificando fenomeni criminali che testimoniano, più che dinamiche di infiltrazioni, uno stato di radicamento della criminalità che ha sempre più necessità di ripulire capitali provenienti da affari criminali mediante attività di riciclaggio. Questa operazione non fa altro che confermare come il nostro territorio rappresenti, per diversi motivi e da molto tempo, un humus favorevole alla circolarità di quegli affari in grado di trasformare la criminalità economica in economia criminale".

Secondo lei, questa storia che vede al centro l’imprenditore Omar Mohamed è un caso isolato o solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ancora molto presente sul territorio?

"L’attività investigativa e le innumerevoli risultanze processuali degli ultimi anni non lasciano dubbio sul fatto che non si tratti affatto di un caso isolato. Non è il primo e, temo, non sarà l’ultimo".

Il settore della ristorazione, fortemente indebolito dalla pandemia da Covid, è quello che rischia maggiormente a livello di infiltrazioni?

"Sì, proprio perché la crisi economica che ha accompagnato la crisi pandemica ha colpito soprattutto quegli esercizi commerciali che più hanno patito le chiusure imposte dal lockdown. Dai dati elaborati dallo Scico emerge come tra maggio e luglio 2020 si siano registrati atti di compravendita anomali. Nella ristorazione hanno cambiato titolare 586 società su oltre 33mila, a cui vanno aggiunte 500 legate all’ingrosso di alimentari. Al di là degli effetti della pandemia, la ristorazione risponde a tutti gli scopi perseguiti dalla criminalità mafiosa mediante l’investimento di denaro nei mercati legali: la massimizzazione del consenso sociale, la visibilità e acquisizione di prestigio sociale e, non ultimo, il controllo del territorio".

Che cosa può essere fatto per salvaguardare il settore?

"Non sono un’economista e temo che qui si tratti di una fragilità endemica del settore. Rispetto alla prevenzione delle infiltrazioni criminali, è necessario creare una rete di informazione finalizzata alla condivisione di notizie che posso tramutarsi in attività investigativa. In questo senso la Gdf regionale ha perfezionato un protocollo di intesa siglato con oltre 40 soggetti, dalla Regione all’Università, che come obiettivo ha lo scambio di informazioni, sportelli di comunicazione, supporto alle indagini, promozione e diffusione della cultura della legalità. Basterebbe dare gambe a quel protocollo".

Il processo Aemilia sembrava aver dato una forte spallata alla criminalità organizzata sul territorio emiliano-romagnolo, ma quest’ultimo caso testimonia che le cose non sono cambiate.

"Le rispondo con una frase di Antonio Valerio, il collaboratore di giustizia che ha dato un importante contributo nello svelare meccanismi di sistema della mafia nel nostro territorio: ’Non illudetevi, con Aemilia non è finito niente’. Aveva ragione".