MARTINA SPAGGIARI
Cronaca

Quando ’le Belle’ governavano le corti

Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese, presenta oggi in Pinacoteca il saggio sulla storia dei ritratti femminili

Quando ’le Belle’ governavano le corti

Quando ’le Belle’ governavano le corti

Si dice che la bellezza, nelle sue varie declinazioni, sia la misura del mondo. Forse non è così, ma di certo muove parecchie leve e ancora oggi è usata come strumento di potere. L’aspetto, decisamente interessante, emerge dal volume ’Le Belle. Ritratti femminili nelle stanze del potere’ (ed Mondadori) di Federica Cappelletti, direttrice della Galleria Borghese, che sarà presentato oggi alle 17 nell’aula Cesare Gnudi della Pinacoteca (prenotazione obbligatoria). In un dialogo a quattro con la direttrice Maria Luisa Pacelli, la storica dell’arte Vera Fortunati e l’artista Sissi.

L’analisi della storica dell’arte racconta del pittore di origini olandesi, Jacob Ferdinand Voet, che a Roma, intorno al 1670, fonda la sua fama su una celebre serie di ritratti femminili in gran parte conservata nel Palazzo Chigi ad Ariccia e nota ancora oggi come ’serie delle Belle’. Una vera e propria raccolta di ritratti di tutte le più belle donne dell’epoca, una sorta di ’catalogo’ che piace talmente tanto da diventare una moda che invade mezza Europa come un’onda. Tutti quelli che contano devono avere una ’serie delle Belle’. "Ma questo – spiega Francesca Cappelletti – è in realtà il punto di arrivo di una tradizione che inizia prima, intorno alla fine del Cinquecento, con le ’stanze dei ritratti’: dove erano collocati e come circolavano sono infatti questioni importanti".

Importanti al punto che il ritratto femminile si intreccia strettamente con il potere e le alleanze di una casata...

"Certamente... Ognuno aveva i ritratti dei congiunti più influenti e in questo senso i ritratti delle donne erano ’un tesoro’ da far viaggiare e conoscere. La cosa interessante però è che le ’serie delle Belle’ spesso sono indipendenti dai legami famigliari: c’era una stanza dei paesaggi, ad esempio, e una per le Belle, magari anche di autori diversi. Un catalogo, davvero, che testimoniava anche conoscenze e amicizie, come in pratica ha fatto Facebook".

Il ritratto nasce per vincere il tempo, ma parla anche della doppia percezione di chi ritrae e di chi è ritratto, di quello che si vuole ’far vedere’.

"Ci sono grandi figure di donne, che prendono in mano e governano la loro immagine: Clelia Farnese, ad esempio, che a fine ’500 è così influente che riesce a condizionare letteralmente l’idea stessa di bellezza, e diventa un ’canone’ a cui adeguarsi. I suoi occhi, la pettinatura, gli abiti, improvvisamente diventano di moda e tutte le donne si fanno ritrarre così. A volte anche per un esperto diventa difficile distinguere i veri soggetti, perché tutte assomigliano a Clelia...".

Andando un po’ avanti nel tempo emergono altre figure straordinarie, come le sorelle Mancini, nipoti di Mazarino.

"Delle sorelle, soprattutto Maria e Ortensia a fine ’600, diventano un vero brand di bellezza e di libertà. Basta pensare che Maria, portata alla corte di Francia da Mazarino, fece perdere la testa al re Luigi XVI e per non mandare all’aria il matrimonio di Stato dovette essere rispedita in Italia... C’è un grande fiorire di ritratti di Maria Mancini, e lei stessa scelse i soggetti di alcuni, facendosi ritrarre come Armida o come Venere. Del resto, il legame tra l’antico e il moderno non si scioglie mai, e Venere percorre tutta la storia del ritratto".

A proposito di immagine da tramandare, è molto forte il tema delle pittrici, come Lavinia Fontana e Artemisia Gentileschi, due bolognesi, che in molti modi misero sè stesse nei loro quadri.

"Il tema dell’identità è cruciale ancora oggi. Artemisia, al di là e oltre la sua vicenda personale, con lo stupro e l’umiliazione processuale, per tutta la vita continua a lottare per affermarsi come artista, al di là del genere. Avrà successo, ma le costerà caro".