Bologna, 5 giugno 2024 – Il processo al medico Giampaolo Amato, oculista di 64 anni accusato di aver ucciso la moglie Isabella Linsalata, medico di base 62enne, e la suocera Giulia Tateo, 87, è entrato nel vivo e accusa e difesa stanno usando tutte le loro armi, in aula, per convincere la giuria. Il processo è indiziario, cioè manca la cosiddetta pistola fumante, perciò l’esito è quanto mai incerto, anche perché i legali di Amato, Gianluigi Lebro e Cesarina Mitaritonna, sostengono che non gli omicidi per cui è alla sbarra il medico non siano mai avvenuti. Per la difesa si è trattato di due morti naturali. Ovviamente la Procura sostiene il contrario e su questo si sono già scontrati i consulenti in aula. I pm Morena Plazzi e Domenico Ambrosino accusato l’imputato di due omicidi aggravati e sono certi di aver raccolto prove sufficienti per ottenere la condanna. Ma quali sono queste prove? Sono elementi raccolti nel corso delle indagini dai carabinieri: i farmaci, i movimenti di Amato, il movente, le chat, la bottiglia di vino. Vediamoli nel dettaglio.
L’autopsia e il mix letale di medicine
Giampaolo Amato è accusato di aver somministrato un mix di farmaci, risultato letale, sia alla moglie Isabella Linsalata che alla suocera Giulia Tateo, morte a distanza di tre settimane nell’ottobre 2021. Contro di lui ci sono gli esiti delle autopsia e degli esami svolti sui corpi delle due donne. Nel corpo di Isabella sono stati infatti trovati Midazolam, una benzondiazepina, e Sevoflurano, un anestetico ospedaliero, farmaci di cui il Amato aveva la disponibilità. Dopo la prima autopsia è stato riesumato il corpo della 87enne Tateo, morta 22 giorni prima della figlia: anche nel suo corpo sono state rinvenute tracce degli stessi farmaci. Secondo l’accusa l’oculista avrebbe prima ’testato’ i farmaci sulla suocera, poi li avrebbe dati alla moglie sciogliendoli nelle tisane. Di parere opposto la difesa, secondo cui Linsalata avrebbe assunto volontariamente i farmaci per vincere la depressione causata dalla relazione extraconiugale di Amato. Non un suicidio, ma una morte dovuta a intossicazione involontaria.
La bottiglia di vino: l’esame dopo due anni
Uno degli indizi più forti a carico di Amato è rappresentato dalla famosa bottiglia di vino conservata dalla sorella di Isabella, Anna Maria. Nel 2019 infatti Linsalata si sentì male dopo aver bevuto un bicchiere di vino offerto dal marito. Ne aveva parlato con la sorella, che perciò aveva conservato la bottiglia. Quando Isabella morì, nel 2021, Anna Maria consegnò la bottiglia ai carabinieri e dagli esami emerse che nel vino c’erano gli stessi farmaci trovati nel corpo di Isabella dopo la morte.
L’orologio e i movimenti dell’imputato
Contro Giampaolo Amato c’è anche il suo smartwatch: i carabinieri, infatti, hanno scoperto grazie alla geolocalizzazione che la notte in cui morì la suocera Giulia Tateo, l’oculista salì per ben 7 volte nel suo appartamento, posto al piano di sopra rispetto a quello in cui viveva Amato. Non solo: i battiti cardiaci del medico erano accelerati. Per gli inquirenti, Amato salì per somministrare i farmaci e controllare la situazione. Lui invece aveva sempre detto di essere rimasto in casa.
Il movente: l’eredità e l’amante
Il movente, secondo la Procura e i carabinieri, è doppio. Giampaolo Amato voleva essere libero di vivere la relazione extraconiugale che portava avanti da tempo e voleva incassare l’eredità. Per questo avrebbe ucciso la moglie e la suocera. Una ricostruzione che la difesa contesta, sostenendo che Amato non aveva alcun motivo di uccidere la moglie, visto che era a conoscenza della relazione, e non aveva problemi economici, dunque non c’era alcuna necessità di incassare l’eredita. L’ex amante dell’oculista ha deposto in aula nelle scorse udienze: "La mia rabbia nei suoi confronti era peggiorata, a prescindere dalle indagini lo ritenevo colpevole di quello che avevo patito prima e per avermi fatta finire in una caserma a parlare di omicidi – ha detto parlando i Amato –. E lui aveva sfoghi di rabbia, non mi piacevano la sua insistenza, le telefonate, le mail, il fatto che due volte si fosse presentato sotto casa mia e altrettante mi avesse bloccata fisicamente. Era ossessivo”.
I messaggi e gli anestetici utilizzati
Uno degli elementi raccolti dagli investigatori che accusato Amato è anche quello che riguarda le chat. Durante gli interrogatori dopo la morte della moglie, infatti, l’oculista riferì di non fare uso, nella propria attività medica, di Midazolam e Sevoflurano, i due potenti sedativi che avrebbe utilizzato per avvelenare le due donne dopo averli sottratti a uno degli ospedali dell’Ausl in cui lavorava, e di non conoscerne bene gli effetti. Ancora una volta però, cellulare e computer l’hanno smentito . In una chat con alcuni colleghi infatti, durante il periodo in cui Amato prestava servizio al Sant’Orsola per l’emergenza Covid, questi partecipò attivamente a una conversazione in cui si discuteva di Midazolam e dei suoi effetti, dopo che una collega aveva condiviso un documento inerente il farmaco. Dunque, non era vero che non conosceva quel tipo di farmaco. Uteriori ricerche su internet trovate dai carabinieri sui suoi computer, poi, hanno svelato come Amato si fosse poi privatamente informato su utilizzi e dosaggi dei due farmaci. Anche in questo caso, però, la difesa sostiene che questi elementi non rappresentano alcuna prova concreta contro Amato.