Bologna, 10 novembre 2023 – La richiesta di rinvio a giudizio era nell’aria e difatti, puntuale, è arrivata. Il procuratore aggiunto Morena Plazzi e il sostituto procuratore Domenico Ambrosino, alla luce anche delle approfondite indagini del Nucleo investigativo dei carabinieri, hanno firmato e presentato all’Ufficio gip la richiesta di processo per Giampaolo Amato, 64 anni, l’oculista dell’Ausl ed ex medico della Virtus accusato dell’omicidio della moglie Isabella Linsalata, 62, la notte tra il 30 e il 31 ottobre di due anni fa, e di quello della suocera Giulia Tateo, 87, appena 22 giorni prima.
Per l’accusa, il movente di quel duplice assassinio si celerebbe dietro a "motivi ereditari e per avere la libera disponibilità degli immobili ubicati in via Bianconi, al primo piano, residenze della suocera e della moglie (Amato abitava al piano di sotto dello stesso palazzo, dopo la separazione da Linsalata, ndr ), e soprattutto per avere piena libertà nella relazione extraconiugale" iniziata anni prima e che aveva appunto portato all’allontanamento, tra alti e bassi, dalla moglie. L’avviso di fine indagine era arrivato a fine settembre; questo nuovo passaggio era quasi scontato.
Così, il giudice per le indagini preliminari Claudio Paris, estensore delle due ordinanze che hanno disposto il carcere per Amato, una per ogni omicidio (l’ultima è di dieci giorni fa, per la morte della suocera), cede ora il testimone alla collega Nadia Buttelli, che sarà il giudice dell’udienza preliminare. Starà a lei decidere se rinviare a giudizio o meno l’imputato. Una data dell’udienza, ancora non c’è, ma può essere venga fissata già entro fine anno.
Poi, con tutta probabilità si finirà a dibattimento, dato che le accuse contestate ad Amato non concedono riti alternativi. Pronti a darsi battaglia in aula saranno da un lato i difensori dell’uomo, gli avvocati Gianluigi Lebro e Cesarina Mitaritonna, convinti dell’innocenza da sempre ribadita dal loro assistito; dall’altro, ecco il quadro serrato dell’accusa, fitto di prove e indizi tra cui quelli legati alle precedenti somministrazioni di Midazolam alla moglie da parte di Amato già nel 2019; lo strano abbigliamento con cui Isabella fu ritrovata, nel letto senza vita; poi le centinaia di chat, ricerche online, celle telefoniche scandagliate e incrociate dai tecnici dell’Arma. Si costituiranno poi parti civili i familiari di Tateo e Linsalata, con gli avvocati Francesca Stortoni e Maurizio Merlini.
Per la difesa, in assenza di una ’pistola fumante’, non v’è certezza che a uccidere le due donne sia stato lo stesso cocktail di farmaci – Midazolam, una benzodiazepina, e Sevoflurano, un anestetico ospedaliero – e soprattutto che a somministrarlo sia stato il loro assistito. Se infatti le perizie dei consulenti della Procura hanno identificato nell’esposizione a xenobiotici la causa del decesso di Linsalata, c’è più cautela su quella dell’anziana, il cui stato di avanzata decomposizione del corpo (riesumato mesi dopo la morte per sottoporlo ad autopsia, dati i dubbi dei parenti date le inquietanti somiglianze col decesso della figlia) ha consentito solo di accertare che i due farmaci fossero presenti nei polmoni, ma non in che quantità né se siano stati decisivi per la morte.
Di contro, le prove ’regine’ dell’accusa: la bottiglia risultata positiva al Midazolam sottratta dalla sorella di Isabella nel 2019, quando la trovò stordita dopo una cena in casa col marito, e quella definita "devastante" dal gip, cioè le registrazioni dello smartwatch di Amato. Orologio che, la notte della morte della suocera, rilevò infatti un battito cardiaco alterato e sette rampe di scale salite tra le 23 e le 7 del mattino dal suo proprietario. Rampe, si ritiene, che separavano gli appartamenti suo e della suocera, sola a casa. Una "prova generale" , scrive il gip, del secondo delitto, che più gli stava a cuore.