FEDERICA ORLANDI
Cronaca

Processo Amato, il medico piange in aula: “Isabella mi picchiò perché avevo un’altra”

L’oculista accusato dell’omicidio di moglie e suocera con un cocktail letale di farmaci a ottobre 2021 ha concluso il proprio esame: “Ma io non l’ho uccisa”

Giampaolo Amato fuori dal tribunale

Giampaolo Amato fuori dal tribunale

Bologna, 3 luglio 2024 – Giampaolo Amato, ancora una volta per ore e ore, racconta in aula la propria verità. Il medico oculista di 65 anni accusato di avere ucciso la moglie e la suocera con un cocktail letale di farmaci a ottobre 2021, l’una 22 giorni dopo l’altra, ha concluso oggi il proprio esame. In cui sono emersi alcuni dettagli nuovi relativi alla vicenda. 

In particolare, la difesa di Amato, rappresentata dagli avvocati Cesarina Mitaritonna e Gianluigi Lebro, legge in aula due sms che Isabella Linsalata, la moglie a sua volta medico di Amato trovata morta nel suo letto il 31 ottobre 2021, mandò al marito il 2 e il 16 agosto 2019. “Oggi tripla dose”, gli scrive in un’occasione dopo che lui, in trasferta con la squadra in qualità di medico (all’epoca) della Virtus basket, non le rispondeva ai messaggi nonostante le insistenze di lei; poi ancora, “Stasera dose doppia”, gli riferisce. Ma dose di cosa? “Di qualche farmaco per stare tranquilla, immagino, perché era agitata dalla mia mancanza di risposta”, illustra lui in aula.

La donna infatti secondo i consulenti medico-legali risulta morta a causa di un mix mortiforo di Midazolam, una benzodiazepina, e Sevoflurano, un anestetico ospedaliero. Farmaci che per l’accusa – pm Morena Plazzi – Amato avrebbe sottratto in uno degli ospedali Ausl in cui lavorava, mentre che per la difesa la donna avrebbe assunto volontariamente a scopo voluttuario per superare il dolore causato dal tradimento del marito, che dal 2018 intratteneva una relazione extraconiugale. 

A tratti, in aula, Amato si commuove pure. Come quando ricorda l’esame da avvocato della figlia negli Stati Uniti, dove lui e Isabella l’avevano raggiunta a giugno 2019. O quando ricorda la morte dei genitori. E ancora, curiosamente, ricordando il tempo “speso per la Virtus, per cui lavoravo per passione e non per soldi”.

In particolare, Amato piange quando riferisce di un episodio avvenuto a metà giugno 2019 e testimoniato da alcuni sms che ancora Isabella gli inviò in quel frangente. “Ti chiedo ancora perdono, non succederà mai più se tu mi aiuti”, gli scrive in un caso, poi, qualche giorno dopo, “Anche per me quella di ieri è stata una prima volta, non me lo perdonerò mai. Quello che ho fatto è ingiustificabile, ma l’ho fatto solo perché Nicola (il figlio minore della coppia, ndr) piangeva e io mi sono sentita una leonessa che difende i suoi cuccioli. Non mi importa se soffro io, ma vedere loro che soffrono mi devasta”.

L’episodio in questione (di cui l’imputato però non precisa la data) sarebbe quello di uno schiaffo che Isabella gli avrebbe dato, in un momento d'ira durante una lite sempre legata alla crisi coniugale. Crisi che aveva portato i due alla separazione, con l’oculista che viveva nello studio al piano di sotto rispetto all’appartamento di via Bianconi in cui viveva la moglie. 

Nel corso del controesame, tornano poi i temi cardine del processo in corso: il famoso episodio della bottiglia di vino – nel maggio 2019 Isabella fu vista dalla sorella Anna Maria in stato confusionale in casa dopo avere bevuto del vino a cena col marito; la bottiglia, sottratta quella sera e conservata da Anna Maria per tanti mesi, fu poi consegnata al Ris dei carabinieri nel 2022 e risultò positiva al Midazolam – e gli esami delle urine che Isabella fece dopo quell’episodio e che in effetti rivelarono una presenza elevatissima e apparentemente inspiegabile di benzodiazepine nel suo organismo.

“Degli esami positivi Isabella mi disse tra fine giugno e inizio luglio 2019, ma non era preoccupata e mi disse che erano farmaci che prendeva per dormire – ribadisce ancora una volta Amato – e fu un fulmine a ciel sereno”. Ma perché, gli contesta la pm, gli disse dell’esame positivo ma non che, già a inizio giugno, aveva ricevuto il referto di un secondo esame delle urine, risultato del tutto negativo dopo che la donna aveva smesso di bere le tisane che il coniuge le preparava? “Non lo so – replica l’imputato –, forse era solo un modo sottile per farmi capire che era angosciata al punto da dover prendere qualcosa per calmarsi”. 

Della bottiglia conservata da Anna Maria, ad Amato avrebbe fatto cenno un’altra cognata, Maria Clotilde Beretta moglie di uno dei suoi fratelli. Sentita ieri come testimone della difesa, la donna ha riferito che Anna Maria Linsalata già a gennaio 2020 le confidò che temeva che Giampaolo drogasse la sorella e che perciò da mesi conservava una bottiglia di vino prelevata in casa loro, per poterla fare analizzare, ma di non avere dato peso alla cosa ritenendola “strana e non affidabile”.

E conclude: “Io non credo che Giampaolo possa avere ucciso Isabella, né credevo allora che potesse darle dei farmaci. Ho pensato che se i sospetti di Anna Maria fossero stati fondati l’avrebbe denunciato,  ma non l’ha fatto”.

E lei perché non ha quantomeno affrontato il cognato sul tema, nel 2020, le chiede il presidente della Corte Pier Luigi Di Bari? “Non l’ho fatto e basta”, chiude lei.