Processo Amato, la difesa chiede l’assoluzione: “Il fatto non sussiste”

La seduta in Corte d’Assise per il medico 65enne accusato di avere ucciso la moglie Isabella Linsalata e la suocera Giulia Tateo con un cocktail di farmaci

Giampaolo Amato è a processo per l'omicidio della moglie e della suocera

Giampaolo Amato è a processo per l'omicidio della moglie e della suocera

Bologna, 1 ottobre 2024 - La difesa di Giampaolo Amato scende in campo per chiedere alla Corte d’assise “convintamente e fermamente l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste, dato che nessuna accusa è stata dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio”. È l’ora della discussione dei difensori del medico di 65 anni accusato di avere ucciso la moglie Isabella Linsalata e la suocera Giulia Tateo a 22 giorni di distanza l’una dall’altra nell’ottobre 2021, con un cocktail di farmaci. In aula è presente anche il figlio dell’imputato, Nicola, per la prima volta se si esclude il giorno della sua testimonianza.

Comincia l’avvocato Gianluigi Lebro: “La mera plausibilità di una ricostruzione alternativa per i fatti contestati con soli indizi, impone l’assoluzione”, chiarisce. E procede a replicare uno per uno ai temi contestati dall’accusa.

Il movente. “Giampaolo Amato non aveva ragione per commettere quei delitti. La sua unica colpa è stata gestire nel modo peggiore possibile la sua relazione extraconiugale, cercando di mantenere un equilibrio tra la passione per l’amante e il legame con la famiglia: non c’è riuscito. Il movente economico non esiste, non ha mai avuto bisogno di denaro. E quello sentimentale neppure, dato che a ottobre 2021 era già uscito di casa e poteva fare quello che voleva”.

I punti analizzati. La cremazione, le coperte rimboccate a Isabella ormai morta, la famosa bottiglia offerta a cena da Amato ala moglie e conservata dal 2019 dalla sorella della vittima poi, analizzata nel 2022 dal Ris, risultata positiva al Midazolam, la benzodiazepina che per l’accusa è stata letale alle due donne. L’avvocato Lebro su quest’ultimo punto insiste e mostra in aula il tappo richiudibile con cui la bottiglia era stata chiusa: “Il rinvenimento del Midazolam nel corpo di Isabella fu reso noto alle parti prima dell’analisi della bottiglia. Che non era certo sigillata in maniera idonea a un elemento di prova, pur indiretto, decisivo per un processo per omicidio”, attacca l’avvocato. E le coperte? “Le rimboccò il medico del 118, dopo la prima visita del corpo di Isabella per verificare non vi fossero tracce di violenza”.

Per quanto riguarda i farmaci (Amato è accusato anche di peculato, per averli sottratti in uno degli ospedali dell’Ausl in cui lavorava), Lebro chiosa: “Non c’è prova di questo. E allo stesso modo in cui potrebbe in teoria averli presi lui, potrebbe averli sottratti la moglie dagli ambulatori in cui lavorava. È una possibilità astratta che vale in entrambi i sensi. E allora, ecco che una ricostruzione alternativa possibile esiste. Dunque chiediamo alla Corte di restituire Giampaolo Amato alla vita che gli resta, dove troverà ad attenderlo almeno i suoi figli, cui non ha tolto né la madre, né la nonna”.

Tocca ora all’altro avvocato della difesa, Cesarina Mitaritonna.