Bologna, 29 novembre 2024 – Il suo programma gestionale contava un migliaio di abbonati. Che, al costo di 10 euro, si erano garantiti la visione di tutte le piattaforme streaming. C’è anche un cinquantenne bolognese tra i 102 indagati dell’inchiesta della Procura catanese che ha bloccato un network internazionale di pirati online, con un giro di affari pari a 3 miliardi di euro l’anno e un danno per le società di pay tv da 10 miliardi l’anno. A seguito dell’operazione ‘Token down’, condotta dalla polizia postale, circa 22 milioni di utenti, in Italia e in altri sette paesi, si sono visti oscurare gli accessi ai canali piratati.
Stando a quanto ricostruito dalla Polpost bolognese, che martedì ha anche perquisito l’abitazione dell’indagato - dove è stato trovato e sequestrato il pannello di controllo dei flussi di streaming che aveva in uso -, l’uomo avrebbe avuto il ruolo di intermediario all’interno del sodalizio. Non una figura apicale, insomma, ma un ‘anello’ tra gli utenti finali del servizio illegale e il network pirata. In sostanza un ‘distributore locale’ del servizio: un’attività a cui il cinquantenne - da ritenersi non colpevole fino a condanna definitiva - si sarebbe avvicinato, tramite social, non per affinità professionali, ma allettato dalla possibilità dei facili guadagni (anche in cryptovalute) prospettati. Gli utenti finali, allo stesso modo, entravano in contatto con la rete attraverso pubblicità sui social, che garantivano la visione di tutti i contenuti delle piattaforme a soli 10 euro al mese.
Secondo quanto ricostruito dalla Procura catanese, con un sofisticato sistema informatico, quello delle Iptv illegali, "venivano illegalmente captati e rivenduti i palinsesti live e i contenuti on demand protetti da diritti televisivi, di proprietà delle più note piattaforme nazionali ed internazionali, come Sky, Dazn, Mediaset, Amazon Prime, Netflix, Paramount e Disney+". Gli indagati rispondono a vario titolo di streaming illegale di contenuti audiovisivi mediante Iptv, accesso abusivo a sistema informatico, frode informatica e riciclaggio. Per tentare di eludere accertamenti, gli indagati avrebbero fatto uso di app di messaggistica crittografata, identità fittizie e documenti falsi, utilizzati anche per l’intestazione di utenze telefoniche, di carte di credito, di abbonamenti televisivi e noleggio di server. La polizia postale ha individuato, in Romania e a Hong Kong, 9 server attraverso i quali veniva diffuso in tutta Europa il segnale audiovisivo pirata, che sono stati ‘spenti’.