DONATELLA BARBETTA
Cronaca

Parkinson, lo studio "Meno terapia alle donne"

La ricerca è stata condotta su 500 pazienti dell’Irccs Isnb del Bellaria . Il professor Cortelli: "È sempre più necessaria una medicina di genere".

Parkinson, lo studio  "Meno terapia alle donne"

Parkinson, lo studio "Meno terapia alle donne"

di Donatella Barbetta

Le differenze tra uomini e donne sono tante ed emergono anche tra le persone colpite dalla malattia di Parkinson. Al Bellaria, l’équipe dei professionisti dell’Irccs Istituto delle Scienze Neurologiche di Bologna, ha condotto su 500 pazienti una ricerca che ha riflessi sulla terapia.

"Il nostro studio è stato pubblicato recentemente sulla rivista internazionale Journal of Parkinson’s Disease – spiega la neurologa Giovanna Calandra Buonaura – e ha coinvolto 308 maschi e 192 femmine, tra di loro anche pazienti affetti da parkinsonismi atipici, che hanno eseguito il monitoraggio della levodopa, il farmaco utilizzato per il trattamento sintomatico del disturbo motorio della malattia, nel nostro centro Disordini del movimento dell’ospedale Bellaria". Il monitoraggio è l’esame che "permette di valutare nei singoli pazienti le concentrazioni nel sangue e la risposta motoria alla levodopa, dopo la somministrazione della loro dose di levodopa del mattino".

E qui arriva la scoperta fatta dagli specialisti guidati dal professor Pietro Cortelli, direttore operativo dell’Isnb. "Uno dei risultati importanti dello studio è che il sesso influenza in maniera significativa le concentrazioni ematiche di levodopa, abbiamo trovato una biodisponibilità, ossia una quantità, più alta nelle donne. Quindi le pazienti possono assumere un dosaggio inferiore di levodopa –, precisa Calandra Buonaura –. Questo esito è molto importante perché la possibilità di sviluppare effetti avversi da levodopa, in particolare le discinesie, i movimenti involontari delle braccia, delle gambe e a volte anche del tronco, dipende dalle dosi del farmaco, pertanto è possibile procedere a una terapia personalizzata che, tenendo conto di questa differenza, permetta di ridurre le dosi di levodopa nelle donne fin dalle prime fasi di malattia con la finalità di ridurre la comparsa a lungo termine delle discinesie, ottenendo nell’immediato lo stesso effetto motorio".

Sulle ricadute pratiche si sofferma Manuela Contin, farmacologo, esperta in neurofarmacologia applicata: "La personalizzazione della terapia con levodopa comporta il suggerimento di impostare dosi del 25% circa più basse nelle donne".

Ma da che cosa dipende questa reazione così diversa tra i sessi? "Il meccanismo alla base di questa differenza nella biodisponibilità di levodopa fra uomini e donne non è noto – risponde il professor Cortellli –, nel nostro studio abbiamo dimostrato che non dipende da fattori come altezza o differenze nel peso corporeo. Una delle possibilità sono le differenze fra i generi nel percorso del metabolismo della levodopa. E tutto questo indica sempre di più la necessità di una medicina di genere".