Bernardina Ghilardi è un architetto di Perticara (Rimini) e oggi lavora a Bellaria. Nel 1984 era iscritta al primo anno di architettura dell’università di Firenze. La notte della strage viaggiava con la sua valigia piena di sogni verso Bologna per poi tornare a casa insieme a due amiche che erano andate a farle visita.
Ha voglia di tornare con la memoria a quel Natale di sangue?
"Faccio fatica. Ma ricordare è necessario perché queste tragedie non devono più accadere".
Dove rimase ferita?
"Al capo, al volto, la bocca era devastata. Per molto tempo dopo l’intervento non riuscivo nemmeno a parlare. Oggi mi porto dietro una cicatrice al mento e un dente ricostruito che mi dà ancora problemi".
In che parte del treno viaggiavate?
"Nella carrozza accanto a quella dell’esplosione. Eravamo in piedi, c’era una gran ressa".
La bomba.
"Fu un gran boato, come se il mondo si fosse capovolto all’improvviso. L’operatore che stava controllando i biglietti mi rovinò addosso. Fui investita da una pioggia di schegge. Ero una maschera di sangue".
Cosa vide intorno?
"Tutti urlavano, si lamentavano e cercavano di fuggire anche se la galleria era quasi al buio. Vidi morire accanto a me una signora che viaggiava col figlio".
Panico totale.
"Pensavamo a un incidente. Le mie amiche, anche loro molto scosse ma illese, mi aiutarono e ci precipitammo fuori uscendo dal finestrino".
Ricorda i primi soccorsi?
"Le mie amiche, Lorena Evangelisti e Paola Baroni, rimasero sempre accanto a me. Ci vollero quattro ore per vedere i vigili del fuoco, furono i miei angeli, il paradiso, la barella sulla quale mi portarono via".
Come fu la ripresa nei mesi successivi?
"Durissima. Dovetti curarmi alla bocca a lungo, faticavo a parlare e a mangiare. Mi chiusi in casa, persi un anno di università. E per tanto tempo evitai di salire su un treno, ero paralizzata dalla paura. Ancora oggi ho gli incubi. L’inferno di quella notte non passa mai".
Beppe Boni