Giovanni Padovani uccise Alessandra Matteuzzi non per "un’insana gelosia", movente semmai dello stalking, ma per "un irresistibile desiderio di vendetta" verso la donna che, secondo lui, l’aveva "tradito" e "manipolato". In quest’ottica, quello di Matteuzzi non sarebbe stato un "omicidio d’amore, quanto d’onore, sia pure in una malintesa accezione di quest’ultimo". Non certo un’attenuante, ma anzi un’aggravante, in questo caso definita nell’ambito della premeditazione di un delitto per mesi maturato "nella psiche" dell’imputato, sebbene "condizionato al mancato riallacciamento dei rapporti". Insomma: se stai con me, ti lascio vivere. Alessandra Matteuzzi ha detto no alle "pretese umilianti e ossessive di Padovani". Il prezzo della sua forza è stata la vita.
I giudici della Corte d’assise presieduta da Domenico Pasquariello (estensore Massimiliano Cenni), motivano ora la condanna all’ergastolo del ventottenne accusato di avere ucciso la ex a martellate, calci, pugni e colpi di panchina il 23 agosto 2022. Omicidio aggravato da legame affettivo (pur riconfigurato come pregresso e finito al momento del delitto), motivi abietti e futili, premeditazione e appunto stalking. Per quest’ultimo reato, Sandra l’aveva denunciato, un mese prima di morire. Non è bastato.
Quello tra i due per i giudici è stato un rapporto "ossessivo e ’drogato’", in cui Padovani aveva fin da subito cercato di "manipolare" lei, obbligandola "a una soffocante forma di controllo" al fine di "annullarne l’autonomia e ridurne l’autostima". Fino ad allontanarla da tutti. Poiché lei, "fortemente innamorata", talvolta "manifestava atteggiamenti di irrazionalità e immaturità, che la rendevano più fragile e vulnerabile" e la rendevano "in certi momenti disposta a tutto pur di proseguire la relazione, anche a costo di essere umiliata davanti alla sorella o i colleghi".
Padovani per tutto il processo ha sostenuto di soffrire di un disturbo psichiatrico. Ma la Corte ricorda come i suoi sintomi psichiatrici siano iniziati solo mesi dopo il delitto e poi "improvvisamente e inspiegabilmente cessati" in corso di processo. Una "messa in scena" per la Corte, dettata da una "strategia difensiva". Così anche "l’istanza con cui Padovani chiese di poter telefonare dal carcere al cellulare della defunta, all’evidente fine di accreditare la propria pazzia, induce a ritenere che si trattò di un’idea macabra e irrispettosa verso di lei, ma anche irriverente verso la Corte".
Esultano i difensori di parte civile Antonio Petroncini e Chiara Rinaldi: "Lui pretendeva di ridurla a una cosa e l’ha uccisa quando lei ha trovato il coraggio di sottrarsi: la Corte ci dà ragione". Mentre il difensore Gabriele Bordoni: "Le mie tesi hanno avuto risposte, ma sfuggenti. La perizia psichiatrica era oggettivamente incompleta. Sarà interessante riproporle in appello".