"Non possiamo mollare. Per noi – che lavoriamo nella filiera del farmaco – continuare la nostra attività è un dovere morale". Maurizio Marchesini (nella foto), presidente dell’omonimo gruppo, multinazionale del packaging con un fatturato 2019 (non definitivo) di 430 milioni di euro e 2mila dipendenti tra Italia ed estero, resta in prima linea. Nonostante il Coronavirus, tra videoriunioni, collaudi in streaming e assistenza tecnica delle macchine da remoto, si prevede già dopo Pasqua di riprendere quasi a pieno ritmo.
La fase due è rimandata a maggio. Se l’aspettava?
"Io e i miei colleghi imprenditori pensavamo che aprissero più attività e che la fase due venisse anticipata".
L’apertura di librerie, cartolerie etc... non la soddisfa?
"Non voglio fare il lavoro del governo che ha un compito ingrato: affrontare una situazione molto nuova e complicata. Ma, ecco, basta vedere la Germania: loro non hanno chiuso e mi pare che i contagi non siano molti di più".
L’assessore regionale Vincenzo Colla calcola per l’Emilia-Romagna una perdita di Pil di 5 miliardi ogni mese. Come si riuscirà a ripartire?
"Con la Germania che continua l’attività e noi fermi si rischiano danni enormi. E se i flussi economici cambiano, la strada per ricominciare è in salita".
La packaging valley bolognese è stata risparmiata dalla crisi?
"Bologna resiste. Ma tutto dipende da quanto durerà questa pandemia per capire le effettive ricadute economiche. Di certo non si può reggere in eterno. Come orizzonte temporale ci siamo dati l’estate".
Nel frattempo avete fatto ricorso alla cassa in deroga?
"È un momento di calo di liquidità, abbiamo rallentato e per le assenze abbiamo utilizzato come strumenti ferie e banca ore negativa. Ma Marchesini non ha chiesto la cassa integrazione in deroga. Già da martedì riprenderemo quasi a ritmo normale. Se ripartiamo noi, riparte anche la filiera".
Le imprese, da un punto di vista della sicurezza, sono pronte alla fase due?
"Noi fin da subito abbiamo fatto di tutto per garantire ai nostri dipendenti di lavorare senza rischi. Mascherine, gel disinfettanti per le mani, sanificazione degli ambienti, misura della temperatura all’ingresso. La mensa è chiusa e fornisce pasti freddi per evitare ai dipendenti di muoversi, c’è il distanziamento delle persone, tramite l’utilizzo di alcuni locali come la mensa, le sale riunioni e del museo per creare nuove postazioni lavorative, un po’ di smart working...".
Quando finirà o si allenterà il lockdown, come fare un ulteriore passo in avanti per evitare rischi in azienda?
"Moltissimi imprenditori farebbero di tutto per proteggere i propri dipendenti. I test sierologici, ad esempio, se venissero confermati come utili per prevenire i contagi, li pagherei subito di tasca mia".
C’è poi il tema dei test delle macchine e dei vostri tecnici che non possono spostarsi...
"Abbiamo fatto ricorso alla tecnologia. Con test in streaming, con il cliente – magari dall’altra parte del mondo – collegato da remoto. Facciamo anche assistenza tecnica così, visto che l’85% del nostro lavoro è all’estero. Fortunatamente avevamo già sperimentato la realtà aumentata...".
Lavorare con l’estero ai tempi del Covid-19 è una corsa a ostacoli?
"Fortunatamente le merci girano, sebbene con grandi difficoltà. Un nostro cliente di Taiwan ci ha ordinato di fare una linea per confezionare vaccini per battere il Covid. Noi ci stiamo adoperando. Poi vedremo come spedirgliela...".
Pensando anche agli altri settori industriali più penalizzati, dalla filiera dell’automotive all’edilizia fino alla moda: che cosa prevede per il futuro?
"Gli imprenditori sono molto preoccupati. Ma, come dico sempre, dobbiamo essere ottimisti per contratto o avremmo già venduto tutto".