
di Nicoletta Tempera
Se vi foste imbattuti nella serie ‘Dahmer’, uscita da poco su Netflix, la vostra fantasia, leggendo questa storia, sarebbe volata sicuramente verso reconditi e terribili pensieri, inquietanti immagini di sezionamenti e polaroid di cadaveri. I sezionamenti ci sono, le foto delle autopsie e i resti umani pure. Ma tra la soffitta del grande palazzo di via Vizzani e l’appartamento abitato dal mostro di Milwaukee c’è ben più di un oceano Atlantico di mezzo.
La verità, per fortuna, nella maggior parte dei casi non è brutta come la si dipinge. E parla di un esimio professore universitario e grande anatomopatologo vissuto in quella dimora fino al 1987. Con il ‘vizietto’, comunque un po’ macabro, considerata la materia, di portarsi il lavoro a casa.
Andiamo per ordine. Tutto inizia lunedì pomeriggio, quando la nuova proprietaria di uno dei quattro appartamenti in cui è stata divisa dagli eredi la villa sale fino al locale del sottotetto, accompagnata dai muratori che devono effettuare un lavoro. E qui, tra anticaglie e riviste degli anni ’60, trova una cassa di legno. La apre e all’interno, avvolte in una sacca, trova delle ossa. C’è anche un pezzo di cranio. Frugando, escono poi delle fotografie che immortalano cadaveri aperti e anche strumenti del mestiere, bisturi e seghetti. La trentacinquenne, scossa, chiama i carabinieri.
Nella soffitta arrivano i militari della compagnia Bologna Centro assieme al medico legale incaricato dalla Procura, che conferma trattarsi di resti umani. Così partono immediate le indagini sul palazzo, sui suoi precedenti proprietari. Ed emerge così che l’edificio, molti anni fa, era di proprietà del professore di Medicina legale dell’università e che quelli conservati in soffitta erano suoi ‘oggetti del mestiere’, andati in disuso dopo la pensione del docente, negli anni ’60 e rimasti lì custoditi per oltre cinquant’anni. Alla sua morte, avvenuta nel 1987, gli eredi, ignari delle singolari abitudini lavorative del professore e di cosa si celasse tra le sue cose nel sottotetto, hanno deciso di ristrutturare il palazzo, dividerlo in quattro appartamenti e poi venderli. Così è stato. Ma la casa ha portato con sé, fino a oggi, il suo segreto. Adesso le ossa e il resto del materiale rinvenuto sono stati sequestrati dai carabinieri e messi a disposizione dell’autorità giudiziaria.
Una storia macabra, ma non troppo ‘strana’, quando si parla dell’ambiente medico-legale. Basti pensare al ritrovamento, pochi mesi fa, di alcuni barili contenenti parti di cadavere e feti umani, abbandonati alle intemperie fuori da un capannone di Granarolo. In quel caso le indagini della polizia avevano portato direttamente al museo di anatomia nei sotterranei di uno dei padiglioni universitari del Sant’Orsola, da cui quei rifiuti speciali erano stati portati via in occasione dei lavori di ristrutturazione dei locali e poi dimenticati. Per circa 25 anni, finché un ragazzo, che andava per fabbriche a raccogliere il ferro, ha aperto uno dei grossi barili gialli, scoperchiando i resti di feti e bambini nati morti destinati alla scienza che conteneva, ormai verdi dal tempo passato lì fuori, ancora a galla nella formaldeide.