
di Claudio Cumani
Insieme fanno 252 anni. Il regista Pier Luigi Pizzi ne ha 91 e i due protagonisti, Umberto Orsini e Franco Branciaroli, rispettivamente 87 e 74. È per questo che il loro spettacolo Pour un oui ou pour un non (in scena da oggi a domenica all’Arena del Sole) è uno degli eventi più acclamati della stagione? Il pubblico vuole, dunque, i mostri sacri?
"È un fenomeno strano – risponde Branciaroli –. A parte noi, in scena continuano a raccogliere successi in queste stagioni attori maturi come Glauco Mauri o Anna Maria Guarnieri. Questo significa che ci sono generazioni di artisti che non sono riuscite ad arrivare al palcoscenico, altrimenti il nuovo avrebbe già spazzato via il vecchio".
Il testo di Nathalie Serraute, una delle più importanti scrittrici del secondo Novecento madrina del nuovo romanzo francese, era stato scoperto trent’anni fa a Parigi proprio da Pizzi che lo aveva proposto ad Orsini.
"Mi aveva colpito subito l’intelligenza della commedia, ma non avevo avuto il coraggio di testarla sul mercato – racconta lui –. È un testo tutto di parola che racconta lo scontro fra due ex amici che si sono guastati molto tempo prima soltanto per un’intonazione ambigua nella conversazione. Ho deciso di rischiare in questo tempo di pandemia immaginando un probabile insuccesso. E invece mi sono ritrovato per le mani un grande successo".
Branciaroli, rifiutando facili etichette di teatro dell’assurdo o del quotidiano, parla di una pièce sofistica, molto divertente, scritta per la radio. "E quindi molto accurata e attenta alla perfezione del linguaggio", aggiunge.
È la terza volta che i due mattatori si incontrano in scena (avevano recitato insieme in ‘Otello’ e successivamente in ‘Besucher’ di Botho Strauss) e ovviamente non c’è competizione attoriale.
"Non vogliamo essere uno più bravo dell’altro – spiega Orsini –, ma lavoriamo insieme alla riuscita dello spettacolo. Il pubblico apprezza la storia e i ritmi".
"Competizione c’è su un campo da tennis non sul palcoscenico – taglia corto Branciaroli –. Altrimenti come attore sei un cane".
Con Pizzi invece Orsini ha condiviso 60 anni fa una delle pagine più gloriose del teatro italiano, quella della Compagnia dei Giovani. Il titolo (che in italiano significa ‘Per un sì o per un no’) è stato mantenuto nella sua versione originale per ispirare un’idea di leggerezza.
Precisa Orsini: "È un copione in cui originariamente non c’era un inizio e mancava una fine: si trattava quasi di una conversazione ininterrotta, di un voyerismo uditivo. Noi abbiamo deciso di inserire un finale a sorpresa di forte impatto".
Dunque, due amici si ritrovano in una scena simbolica costituita da libri non scritti dopo un immotivato distacco e si interrogano sulle ragioni della loro separazione, scoprendo che sono stati i silenzi e soprattutto le ambiguità delle intonazioni a deformare la comunicazione.
"È interessante dimostrare – insiste Orsini – come le parole, a seconda di come vengono pronunciate, hanno un peso diverso. In fondo il senso del teatro sta tutto lì, in quella frase insanabile che spalanca un armadio pieno di scheletri". Per lui uno spettacolo così insolito è un motivo di particolare soddisfazione: "Dopo un testo sulla fisica come Copenaghen o uno sulla cecità quale Molly Sweeney ho capito che bisogna andare oltre le aspettative della gente". Mantenendo però un rigore interpretativo. "Perché è quello – chiosa Branciaroli – che richiede ogni testo vero".