Bologna, 12 settembre 2022 - L’obiettivo dichiarato è quello di "perseguire gli haters uno a uno". Cioè tutti i cosiddetti ’leoni da tastiera’, le persone che dopo il drammatico femminicidio di Alessandra Matteuzzi si sono scatenate sui social insultando la vittima. Sempre protette da uno schermo, spesso pure da pseudonimi o false identità.
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Ora, l’avvocato Chiara Rinaldi, che rappresenta la famiglia di Alessandra, è pronta a sporgere denuncia anche per tutelare la sorella della vittima, la sua assistita Stefania.
Gli esposti non sono ancora stati depositati, ma l’intenzione è quella di farlo entro la fine della settimana, almeno per una parte degli insulti ricevuti online da Matteuzzi. I reati ipotizzati sono quello di diffamazione e, in alcuni casi, pure l’incitamento all’odio. "In generale ci vorrebbe rispetto per chi non c’è più, ma bisogna che la gente comprenda anche che non ci si può comportare sui social come se si trovasse in un saloon del Far West – commenta l’avvocato Rinaldi – e che dovranno rispondere delle loro azioni, cui come sempre corrisponde una reazione adeguata". Tenore e livello dei messaggi sono bassissimi: dai commenti sulla differenza d’età tra la vittima e l’assassino (Alessandra aveva trent’anni in più dell’ex compagno che l’ha uccisa, Giovanni Padovani) a quelli sugli abiti indossati dalla donna in alcune foto pubblicate sui social. La maggior parte ha toni aggressivi e offensivi.
Padovani si trova detenuto al carcere della Dozza dal giorno dell’omicidio: non si è opposto all’arresto e anzi agli agenti di polizia intervenuti ha confessato subito e pure illustrato la dinamica dell’aggressione nei confronti della ex compagna. Attualmente deve rispondere di omicidio aggravato dallo stalking; per ora non gli è stata contestata la premeditazione, nonostante si fosse portato in automobile il martello usato come arma del delitto, preso a casa dei nonni a Senigallia, in provincia di Ancona. Con gli inquirenti si sarebbe giustificato chiarendo di avere preso l’oggetto per "difendersi" da presunte minacce ricevute in precedenza dal cognato di Alessandra, il compagno di Stefania. Non ha chiarito però quale sia stato il fattore scatenante di una furia così cieca e incontenibile nei confronti della donna che da mesi perseguitava, ma nei cui confronti non aveva mai avuto atteggiamenti fisicamente aggressivi, fino a quella drammatica sera in via dell’Arcoveggio 42.
Il killer ventiseienne si è dimostrato sempre collaborativo nei confronti di Procura e forze dell’ordine; all’udienza di convalida dell’arresto si è avvalso della facoltà di non rispondere, ma per il resto ha fornito gli elementi richiesti. Lo scorso primo settembre, per esempio, ha fornito tutti i codici pin e le password richieste all’avvio della consulenza tecnica informatica disposta dalla Procura su i dispositivi elettronici suoi e di Alessandra Matteuzzi. Tra le varie persecuzioni subite da parte dell’ex e denunciate ai carabinieri, la donna aveva infatti anche fatto riferimento al fatto che a febbraio, mentre la relazione tra lei e Padovani sebbene tra alti e bassi era ancora in corso, aveva scoperto che tutte le password dei suoi profili social e del suo indirizzo di posta elettronica erano state modificate. Inoltre, l’uomo le aveva proibito di utilizzare il social Facebook, consentendole soltanto di continuare a servirsi di Instagram soltanto perché le era indispensabile per il lavoro.