Bologna, 9 dicembre 2022 - Giuseppe Cappello è pronto a giocarsi l’ultima carta per dimostrare che la ex fidanzata "non l’ho uccisa io". Carta che prenderà le forme di una nuova consulenza medico legale che verrà depositata lunedì dagli avvocati Gabriele Bordoni e Alessandra Di Gianvincenzo all’apertura dell’udienza preliminare davanti al gup Sandro Pecorella dove l’imputato deve rispondere di omicidio. Quello di Kristina Gallo, 27 anni, ritrovata morta sotto il letto dell’appartamento di via Andrea Da Faenza dove giaceva da giorni. Era il 26 marzo 2019 – la morte tra il 22 e il 24 – e ci sono voluti tre anni e mezzo di indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo, e 6mila telefonate nascoste analizzate, per ricostruire la tragedia e arrivare al presunto assassino, già da tempo indagato per stalking, e dal 29 luglio rinchiuso alla Dozza.
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L’ultimo , e decisivo, pezzetto del puzzle arrivò un anno fa: la consulenza chiesta dalla Procura con l’anatomopatologa Cristina Cattaneo che ipotizzò la morte violenta ad opera di terzi. Conclusioni da sempre contestate dalla difesa, ancor di più ora con questa ultima carta da giocare. "Dimostreremo con i nostri consulenti – spiegano i legali – che non ci sono elementi tali per sostenere la responsabilità omicidiaria del nostro assistito. Come scrisse il primo consulente del pm che non rilevò i segni tipici di sofferenza polmonare e chiese di archiviare il caso. La tragedia avvenne per vie naturali". Legali che hanno annunciato anche la scelta del rito per Cappello: l’abbreviato.
Minacciata, soggiogata, picchiata, privata di contatti liberi con familiari e figlia o di indossare vestiti "che ne esaltassero la femminilità". Fino all’atto estremo, l’assassinio. Parole durissime quelle utilizzate dal procuratore aggiunto Francesco Caleca e dal sostituto Stefano Dambruoso nei confronti del 44enne bolognese, un vecchio precedente alle spalle, per alcuni anni fidanzato con Kristina. Soffocata, così parlano gli atti, dopo l’ennesimo litigio: omicidio volontario aggravato dallo stalking per fatti andati avanti dall’autunno 2016 al febbraio 2019. Un periodo in cui la vita della donna si trasformò in un inferno, "costretta a vivere una perdurante, assoluta condizione di soggezione e paura per la propria incolumità, fino a ridurla in uno stato di segregazione morale, imponendole radicali mutamenti delle proprie abitudini". Dall’abbandono del lavoro, "per ridurre le occasioni di contatto con altri uomini", alla privazione di telefono e pc per evitare accessi "sui social network". Addirittura la obbligò a "non ricevere notizie della figlia, avuta da una precedente relazione". Nessun contatto nemmeno con i genitori (la famiglia è rappresentata dall’avvocato Cesarina Mitaritonna), "se non con l’uso di biglietti manoscritti". Poi le botte, i lividi sulla pelle, le minacce di morte. Elementi "chiari" per l’accusa da contestare all’ex. Il quale però è pronto a dare battaglia fino in fondo per dimostrare, con questo ultimo colpo di scena, che "non ho ucciso nessuno".