Bologna, 11 aprile 2022 - "Il movente femminicida è maturato per riaffermazione della volontà di possesso 'virile’ sulla donna, e per barbara necessità di vendicare il proprio malconcepito senso di onore, cui non si è accompagnato alcun pentimento; anzi l'omicidio è stato rivendicato con orgoglio e soddisfazione". Lo sostiene la Corte d'Assise di Bologna motivando la sentenza della condanna all'ergastolo del 42enne marocchino M'hamed Chamekh, responsabile dell'omicidio dell'ex compagna Atika Gharib, 32 anni, trovata morta il 2 settembre del 2019 in un casolare di Castello d’Argile. La donna, con cui l’assassino aveva avuto una relazione, lo aveva lasciato dopo che lui aveva molestato la figlia, minorenne. La famiglia della vittima si era costituita parte civile con l’avvocato Marina Prosperi, così l’Udi, rappresentata dall’avvocato Rossella Mariuz. Oltre ai famigliari, anche per l’Unione delle donne la Corte ha stabilito un risarcimento di 10mila euro.
Aggiornamento Atika uccisa e bruciata, l'aggravante del femminicidio
"Questo passaggio motivazionale segna un importante salto nella giurisprudenza - ha detto l'avvocata Marina Prosperi, che ha rappresentato l'intera famiglia della vittima, costituita parte civile - che riconosce come aggravante di genere, il movente di un femminicidio, poiché determinato in una cornice maschilista, 'il possesso virile sulla donna', e patriarcale nel quale si misura 'il malconcepito senso dell'onore". Per l'avvocata "sono due parole inserite in una sentenza di 22 pagine, ma sono un grande passo nella tutela e nella difesa delle donne". Anche l'Udi, associazione donne italiane, era parte civile, rappresentata dall'avvocato Rossella Mariuz. "Abbiamo chiesto ai giudici come Udi di riconoscere nella sentenza questo omicidio come femminicidio, valutando l'etimologia di questa parola", aveva detto l'avvocato, il giorno della lettura del dispositivo.