Bologna, 29 maggio 2024 – Sarebbe stata raggiunta da un colpo di proiettile sparato a distanza ravvicinata, 30 centimetri al massimo, Sofia Stefani, la vigilessa di 33 anni uccisa il 16 maggio scorso dal collega con cui aveva avuto una relazione Giampiero Gualandi, 63, nell’ufficio di lui al comando di polizia locale di Anzola, Bologna.
La ragazza è stata centrata allo zigomo sinistro, sotto l’occhio e proprio accanto la narice, con l’arma direzionata dal basso verso l’alto, secondo la traiettoria del proiettile attraverso il suo corpo. È quanto emerge dalle prime risultanze dell’autopsia eseguita nei giorni scorsi. Secondo l’accusa, queste risultanze confermerebbero la dinamica di un omicidio volontario, poiché, è la tesi, uno sparo accidentale durante una colluttazione, a quella distanza, avrebbe con più probabilità colpito altre parti del corpo, come addome o gamba, anziché il viso.
Tutto il contrario invece per la difesa. La versione dell’indagato, ora in carcere per omicidio volontario, è che il colpo sia invece partito per errore, durante una colluttazione con Sofia: lei l’avrebbe aggredito, adirata per la fine della relazione voluta dall’uomo, e in questo contesto avrebbe afferrato la pistola che lui aveva lasciato sulla scrivania dopo averla pulita.
Ora l’avvocato di Gualandi, Claudio Benenati, si dice “moderatamente ottimista” sugli esiti dell’autopsia: “Ci sono almeno tre elementi decisivi per confermare la nostra versione dei fatti”, spiega infatti. Intanto, ieri ha fatto ricorso al tribunale del Riesame chiedendo la revoca della misura per il suo assistito, in subordine i domiciliari, puntando il dito contro i “gravi indizi circa il dolo” contestati al vigile dal gip e la “sussistenza dei pericoli di fuga e reiterazione del reato”. I giudici decideranno entro 15 giorni.
Ma perché Gualandi avrebbe dovuto uccidere Stefani? Era stato lui a volere troncare la loro storia, anche se Sofia non si era rassegnata. E aveva iniziato a chiamarlo decine di volte al giorno, stando ai tabulati; aveva poi contattato sua moglie. Emerge dalle ricostruzioni che la ragazza gli avesse anche detto di aspettare un figlio suo, circostanza però poi risultata non vera. Stando alle ricostruzioni, quel tragico giovedì si era recata al comando di Anzola proprio per un confronto sulla fine della loro relazione. E Gualandi, “esasperato” e “perseguitato”, secondo l’accusa, avrebbe premuto il grilletto.