L’incubo giudiziario che imprigiona Patrick Zaki, facendo aleggiare sul suo futuro altri cinque anni di carcere solo per aver scritto un articolo, continua: il processo a carico dello studente egiziano dell’Università di Bologna in corso a Mansura, la sua città natale sul delta del Nilo, è stato aggiornato di nuovo, questa volta di quasi due mesi e mezzo. A differenza di quelle precedenti, in questa nona udienza c’è stato però un notevole passo avanti verso una sentenza: i suoi legali, per la prima volta, hanno potuto esporre in maniera organica la loro difesa. Il processo riprenderà il 9 maggio quando, calcolando l’arresto dell’8 febbraio 2020, "saranno trascorsi tre anni e tre mesi dall’inizio di questo incubo che deve finire", ha detto all’Ansa Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. "È fondamentale che anche le nostre istituzioni facciano qualcosa perché questo processo si chiuda presto e bene e Patrick torni a Bologna", ha premesso Noury. "È sempre più forte l’amarezza e l’angoscia con cui accogliamo la notizia di un nuovo rinvio di questo interminabile processo", ha commentato il rettore dell’Università di Bologna Giovanni Molari. E anche la presidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna, Emma Petitti, ha parlato di "processo infinito". Che il 9 maggio ci sia una sentenza, è però per ora solo una possibilità. "Forse pronunceranno il verdetto finale, potrebbero farlo", ha auspicato Patrick, memore di tante previsioni frustrate. Comunque, "per la prima volta in tre anni abbiamo avuto il tempo per rappresentare la nostra difesa", circa "30 minuti" per esporre cosa ci sia "di sbagliato" nelle accuse, ha detto l’attivista riferendosi al contenuto dell’articolo del 2019 su un attentato dell’Isis e due casi di presunte discriminazioni di copti, i cristiani d’Egitto.
CronacaNuovo rinvio per Zaki Ma il verdetto è più vicino