Castiglione dei Pepoli (Bologna), 23 febbraio 2024 – Una stazione ferroviaria sepolta 300 metri sotto terra e un borgo fantasma in superficie. Ca’ di Landino, amena località nell’accidentato territorio appenninico di Castiglione dei Pepoli, è un paese addormentato da 90 anni. Ovvero da quando il viaggio inaugurale del treno reale, nella notte fra il 22 e 23 aprile del 1934, segnò l’apertura ufficiale della grande galleria dell’Appennino, un prodigio tecnico di 18,5 chilometri scavato nella roccia fra San Benedetto Val di Sambro e Vernio, in provincia di Prato.
La linea Direttissima fu il primo collegamento ferroviario veloce fra Nord e Sud della penisola e ad oggi serve ancora egregiamente l’economia del territorio. Ca’ di Landino era l’epicentro del maggiore cantiere della grande opera avviata stancamente negli anni della prima guerra mondiale, poi scelta da Mussolini come simbolo dell’efficientismo fascista. Per accelerare i lavori furono realizzati due pozzi inclinati per calare nelle viscere della montagna uomini e materiali, esattamente al centro della galleria, dove ancora oggi sorge la Stazione di Precedenze, un vero e proprio scalo ferroviario a disposizione dei passeggeri. Per raggiungere il marciapiede lungo i binari i viaggiatori dovevano scendere 1863 scalini, e risalirli al ritorno, ma restava pur sempre il modo più rapido per raggiungere le città di Bologna e Firenze. Il servizio passeggeri continuò fino al 1968, quando si ritenne che la ventina di pendolari superstiti potesse essere con minore spesa trasportata in corriera alle stazioni di San Benedetto e Vernio.
L’opera però è rimasta sempre là sotto e i passeggeri in transito dentro la galleria possono ancora vederla per pochi istanti dal finestrino del treno. Le proposte per riattivarla, magari a scopi turistici, nel corso dei decenni non sono mancate, ma si sono sempre scontrate con insormontabili ostacoli burocratici, economici e requisiti di sicurezza che, a distanza di tempo, sono decisamente cambiati. Dieci anni fa, in occasione dell’80° anniversario dell’inaugurazione, un treno speciale si fermò per pochi attimi alla Stazione di Precedenze, giusto il tempo di dare uno sguardo al tempio proibito, ma le porte restarono chiuse e ai passeggeri non fu permesso di mettere piede a terra. Di recente, però, il sindaco di Castiglione Maurizio Fabbri ha avuto la possibilità di visitarla, condotto sul posto con un piccolo convoglio insieme ai tecnici di Rfi, allo storico Michelangelo Abatantuono e alla videomaker Martina Mari, che ha girato un prezioso reportage visibile sul suo canale web ERcole Tv. Quest’anno ricorrono i 90 anni del primo viaggio reale e l’amministrazione locale, assieme a quella di San Benedetto e Rfi, non vuole mancare l’occasione di ricordare al mondo l’esistenza di questo luogo oscuro e inaccessibile. "Il sogno di poter riavere una stazione ferroviaria nel nostro territorio lo abbiamo da tempo – confessa il primo cittadino –. Ci sono stati tanti studi, è un progetto che a volte appare proibitivo ma la nostra volontà è quella di continuare ad approfondire".
Meno proibitivo è invece l’obiettivo di recuperare le palazzine abbandonate della cittadella dei minatori in superficie, dove nel momento di massima espansione del cantiere abitavano fino a tremila persone: "A breve faremo uno studio di fattibilità per la rigenerazione urbana di Ca’ di Landino. Si dovrà capire l’economia del territorio e l’eventuale destinazione residenziale, a servizi o un mix di entrambe le cose". Quanto all’ipotesi di poter vedere aperta la stazione, "al momento – taglia corto Fabbri – non è all’ordine del giorno e per le celebrazioni del 90° c’è ancora un lavoro in corso".
Nulla vieta però, già oggi, di visitare il borgo abbandonato e il museo allestito a Castiglione per rendersi conto delle condizioni spaventose in cui lavoravano gli operai della Direttissima, al buio, nelle gallerie gocciolanti, costantemente esposti al rischio di crolli ed esplosioni. Fra il 1920 e il 1934 i lavoratori sacrificati nella fucina di Ca’ di Landino furono 99. Non a caso, la chiesa locale, inaugurata nel 1926 all’apice dell’attività di cantiere, fu dedicata a Santa Barbara, patrona dei minatori. Ma neanche lei riuscì a salvarli tutti.