STEFANO MARCHETTI
Cronaca

Nassetti, il destino del pilota. Tornò a volare dopo il tumore e morì in un incidente aereo: "È un esempio per i giovani"

Medaglia d’oro al merito civile, trent’anni fa la tragedia dell’Airbus con sette vittime. Il fratello gli ha dedicato un libro: "Fin da ragazzino sognava di fare l’aviatore".

Il pilota bolognese Alberto Nassetti; a destra, la poesia che scrisse nel 1991

Bologna, 17 gigno 2024 – Alberto aveva messo le ali molto presto. Aveva 14 anni quando scrisse una lettera al papà, che forse avrebbe desiderato che lui potesse seguire le sue orme e dedicarsi all’informatica. "So che in un certo senso ti ho dato un dispiacere, ma ‘purtroppo’ ho constatato che fare il pilota è la mia più grande aspirazione", confessava. "Già allora Alberto aveva le idee molto chiare. Volare era la sua passione, il sogno che poi ha realizzato", dice Filippo Nassetti, fratello di Alberto, giovane aviatore coraggioso, forte, sincero ma sfortunato.

Nel 1989, a 23 anni, Alberto Nassetti (originario di Bologna) fu tra i più giovani piloti Alitalia: attivo, entusiasta, capace, amante della fotografia, della pittura e dell’alpinismo, si trovò a combattere anche contro un tumore al cervello e riuscì poi a tornare in cabina di pilotaggio. Ma il destino lo attendeva in un giorno d’estate. Il 30 giugno 1994, a Tolosa, Alberto Nassetti e il collega Pier Paolo Racchetti furono invitati sul volo di collaudo di un nuovo Airbus: non erano ai comandi dell’aereo ma osservatori, inviati in Francia dal sindacato dei piloti. Pochi secondi dopo il distacco dalla pista, il velivolo precipitò e non ci fu scampo per le sette persone a bordo. "Molte aquile ho visto in volo. Ali maestose sfidare il suolo – aveva scritto Alberto in una poesia –. Ancora a lungo le vedrò. Poi, con loro, io morirò". Quasi profetico, purtroppo. Sono trascorsi trent’anni dal tragico incidente, e l’esempio di Alberto Nassetti (insignito nel 2005 della medaglia d’oro al merito civile) continua a ispirare quanti hanno soltanto il desiderio di volare. "Molte aquile ho visto in volo" è anche il libro (edito da Baldini e Castoldi) che il fratello Filippo Nassetti, giornalista, ha dedicato alla storia di Alberto e di altri aviatori straordinari.

Per Alberto volare era quasi una vocazione?

"Sì, e lui la manifestò prestissimo. Allora abitavamo a Ozzano Emilia, nel Bolognese, eppure lui fin da subito volle iscriversi all’Istituto aeronautico Baracca di Forlì, che allora era una delle tre sole scuole statali in Italia per questa specializzazione: per raggiungerlo, ogni giorno, doveva prendere tre mezzi, eppure il suo sogno era più forte di ogni sacrificio. Quando poi ci trasferimmo a Roma, completò gli studi al ‘De Pinedo’. Al corso di ammissione all’Alitalia, si classificò poi al primo posto. Fu assunto e assegnato ai voli di medio raggio sui Dc9".

E nel 1991 la diagnosi terribile, tumore al cervello...

"Della quale, in famiglia, lui ci tenne praticamente all’oscuro. Per non farci preoccupare non ci rivelò la reale gravità dell’operazione: ce la presentò come un piccolo intervento di routine". Alberto superò anche quell’ostacolo. E poi?

"Iniziò a combattere per tornare a pilotare. Allora non c’erano precedenti di piloti operati al cervello che fossero tornati alla cloche: affrontò anche questo con ogni forza. Nel 1992 riprese a volare nei corsi di comando, ovvero con equipaggi formati da tre piloti. Dopo un anno e mezzo ottenne di nuovo la piena abilitazione".

Come avvenne la tragedia in Francia?

"Alitalia stava valutando l’acquisto di nuove aeromobili. I sindacati dei piloti incaricarono Alberto e il collega di recarsi a Tolosa per valutare un nuovo modello Airbus. Salirono sul volo di collaudo del 30 giugno: purtroppo finì dolorosamente".

Che cosa resta di Alberto e del suo esempio?

"La sua forza di volontà, la sua determinazione, il suo senso di responsabilità. Tanti giovani piloti, pur non avendolo conosciuto, vedono in lui un riferimento per questi valori. A lui e Racchetti sono state dedicate anche due vie dell’aeroporto di Fiumicino e due Boeing 777 della flotta Alitalia. Il 30 giugno ricorderemo Alberto a Sarteano, in Val d’Orcia, dove lui riposa nella cappella di famiglia".

Per l’incidente ci fu un risarcimento?

"Sì, e come famiglia lo abbiamo devoluto a due associazioni: Emergency, che ha dedicato ad Alberto la corsia pediatrica dell’ospedale in Sierra Leone, e Mani amiche, che ha creato un laboratorio artigianale in Guatemala. Alberto così continua a volare anche là".