Bologna, 16 dicembre 2023 – Sinisa è per sempre. Figurarsi poi se il primo anniversario della sua scomparsa, che cade oggi, coincide con la vigilia di una sfida che lui sentiva più di tante altre: Bologna-Roma.
"Mihajlovic ci ha insegnato che davanti alle difficoltà, anche alle più grandi, non bisogna arrendersi mai e questo è qualcosa di straordinario – diceva ieri Thiago Motta a Casteldebole –. E’ un insegnamento che ha trasmesso a me, ai suoi calciatori e a tutto il club. Sinisa per tutti noi è uno stimolo e una spinta in più e spero che domenica, da dove si trova adesso, possa dare una mano a questo gruppo a crescere...".
Motta chiama Mihajlovic e gli rende omaggio nel giorno in cui è inevitabile riavvolgere il nastro della lunga avventura del serbo di Vukovar sotto le Due Torri. Tanti fotogrammi, ed è difficile battezzare i più pregni di significato. In ordine sparso: la cittadinanza onoraria, le guasconate in sala stampa, l’annuncio-choc della malattia, il calvario di infiniti cicli di chemioterapia al Sant’Orsola, i pellegrinaggi dei tifosi a San Luca per invocarne la guarigione, non meno significativi dei pellegrinaggi dei suoi calciatori sotto le finestre dell’ospedale quando il tecnico era ricoverato e anelava una boccata d’aria.
E poi: il primo Mihajlovic bolognese, quello che nel 2008 prese le redini della squadra quando i Menarini esonerarono il tecnico Arrigoni (a sua volta, dopo cinque mesi, finì con un esonero); le lavagnette spaccate nello spogliatoio per scuotere la squadra, le serate di festa con Gianni Morandi alla chitarra e le torte di Gino Fabbri, la salvezza con decimo posto in coda alla stagione 2018-19 che ebbe del miracoloso, la presenza in panchina ben oltre il limite dell’eroico a Verona, quando sul corpo mostrò con fierezza i segni della battaglia contro la malattia, i dieci chilometri di corsa che affrontava ogni mattina a Casteldebole, dopo che, respinta la prima minaccia della leucemia, era tornato un ‘rambo’.
Fino al tragico epilogo del 16 dicembre di un anno fa, dopo che la leucemia aveva bussato alla sua porta per la seconda volta a marzo, fiaccando la resistenza di un gigante che fino all’ultimo ha scelto di stare vicino ai suoi ragazzi, nonostante il fisico fosse diventato di cartavelina e il gruppo non rispondesse più ai comandi del pilota, tanto da costringere il club, a settembre, a un doloroso esonero. Quel 16 dicembre alla clinica Paideia di Roma Sinisa ha fatto scorrere i titoli di coda su cinquantatré anni che qualche regista ancora oggi vorrebbe provare a racchiudere in un film.
Titolo: la vita irripetibile di Sinisa. Anzi no: le due vite, come amava ricordare lui, una volta uscito dal tunnel del primo trapianto di midollo osseo, che quel 29 ottobre 2019 gli aveva riacceso la speranza. "Da allora festeggio due compleanni, perché il giorno del trapianto è come se fossi rinato una seconda volta", era diventato il suo mantra.
La sua seconda vita è durata troppo poco, ma i suoi quattro anni sotto le Due Torri (cinque mesi nel 2008 e altri tre anni e mezzo poi) resteranno per sempre parte di un racconto che ha scosso ed emozionato una città intera. Fino a farne, ben oltre la morte, uno di noi.