Era il 3 dicembre del 1994 ed Eva Mikula, la compagna di Fabio Savi al tempo, fu interrogata dalla Polfer e dai pm di Rimini, pochi giorni dopo l’arresto della Banda composta dai tre fratelli Savi e dai loro ’gregari’, i poliziotti Marino Occhipinti, Pietro Gugliotta e Luca Vallicelli. "Fabio mi confidò nel 1992 di avere fatto parte dei servizi segreti e perciò aveva in garage un vecchio paio di anfibi e una cintura militare. Mi diceva che i fatti della Uno bianca non erano nulla in confronto a ciò che aveva fatto nei servizi segreti", raccontò la donna agli inquirenti.
Una versione che non trovò in realtà riscontri nelle successive indagini e nei processi: un coinvolgimento diretto tra "il Lungo" e i servizi non fu mai provato. E anzi proprio lui, quando fu suggerito un legame tra Banda e Servizi, disse che dietro alla Uno Bianca c’erano solo "la targa e i fanali".
Mikula, nel ’94, proseguì: "Mi raccontò di avere cessato ogni attività coi servizi nel febbraio 1992, ma che aveva ancora ’persone dietro’ perché era a conoscenza di codici riservati. E in una occasione, per farmi capire a cosa servissero i servizi segreti, mi disse che le stragi che sono successe in Italia sono state volute dallo Stato, per rinforzare la fiducia della gente nella polizia e nei carabinieri". Fabio era l’unico dei fratelli, nonché dei membri dell’intera banda, a non essere un poliziotto: aveva fatto domanda, ma era stato scartato perché miope. Faceva il camionista. Ora, le indagini aperte per concorso in omicidio con la banda potrebbero dare una nuova luce ai rapporti che i Savi intrattenevano nella loro ’epoca del terrore’, e perché.
f. o.