Cadute tutte le accuse nella vicenda del super appalto da 123 milioni per la gestione dei servizi di supporto alla persona al Sant’Orsola, annullata dal Consiglio di Stato nel 2019 perché firmatario del bando e presidente del cda della vincitrice erano cognati. Sette finirono poi a processo, ma ieri il gup Alberto Ziroldi ne ha assolti quattro in abbreviato; una quinta era stata prosciolta in udienza preliminare. E per i due cognati al centro della storia, Marco Strochi e Roberto Olivi, il gup ha dichiarato l’improcedibilità: dopo un decreto d’archiviazione nel 2020, il pm Augusto Borghini aveva riaperto l’indagine senza chiederne autorizzazione formale, così ogni azione successiva è stata ritenuta nulla. Tutto cominciò da una denuncia di Rekeep, terza alla gara, che però dopo l’annullamento riuscì ad aggiudicarsela. Vincitrice era stata Coopservice, ma il Consiglio di Stato, rilevando anche solo la potenzialità di un conflitto d’interessi, aveva annullato tutto per la parentela tra il presidente del cda della coop (Olivi) e il direttore della struttura complessa dei servizi alla persona (Storchi). La vicenda finì al penale, con ipotesi di turbativa d’asta. Ieri però sono stati assolti i commissari Diego Lauritano, Nazzareno Manoni e Luisa Capasso, ex responsabile servizio anticorruzione del Sant’Orsola, e Davide Fornaciari, direttore amministrativo Aosp; Rosanna Campa, responsabile unico del procedimento per l’Asl, ha scelto il rito ordinario ed è stata prosciolta. Esulta l’avvocato di Storchi, Gino Bottiglioni: "Riconosciuta la totale assenza di responsabilità per il mio assistito, come da noi sempre sostenuto. L’appalto era regolare e trasparente, anche perché la parentela fu subito chiarita. La contestazione infatti ci sorprese molto".
CronacaMaxi appalto al Sant’Orsola, cadute le accuse