AMALIA APICELLA
Cronaca

Maura Delpero e il suo ’Vermiglio’: "Ho ritrovato le memorie di casa"

La regista Maura Delpero dedica il suo film "Vermiglio" al suo paese natale e alla sua città adottiva, Bologna. Il lungometraggio racconta la storia di una famiglia durante gli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale.

La regista Maura Delpero dedica il suo film "Vermiglio" al suo paese natale e alla sua città adottiva, Bologna. Il lungometraggio racconta la storia di una famiglia durante gli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale.

La regista Maura Delpero dedica il suo film "Vermiglio" al suo paese natale e alla sua città adottiva, Bologna. Il lungometraggio racconta la storia di una famiglia durante gli ultimi giorni della Seconda Guerra Mondiale.

Vermiglio è il villaggio di montagna in Trentino-Alto Adige in cui è nato il padre della regista Maura Delpero, e a cui lei dedica il suo secondo lungometraggio. Ma "Bologna – spiega la cineasta che qui ha studiato Lettere – è la mia città. Dove sono diventata un’adulta, mi sono formata, alla quale devo il mio universo ideologico e artistico". Vincitrice, con ‘Vermiglio’, del Leone d’argento-Gran premio della giuria all’ultima Mostra del cinema di Venezia, Delpero incontrerà il pubblico del cinema Rialto oggi, al termine dello spettacolo delle 16, e prima della proiezione delle 19.

Il film racconta dell’ultimo anno della Seconda Guerra mondiale in una grande famiglia e di come, con l’arrivo di un soldato rifugiato, questa perda la pace, nel momento stesso in cui, con la fine del conflitto, il mondo ritrova la propria.

Maura Delpero, il film è nato da un sogno legato a suo padre. È stato difficile scrivere una storia tanto personale?

"Ho vissuto un momento di interregno, stavo lavorando ad altro e ho resistito un po’ prima di capire che fosse un’urgenza del cuore. Essendo un film così personale, ero spaventata dal fatto che potesse non essere una storia universale".

Cosa l’ha convinta?

"Le immagini sono arrivate in modo sempre più prepotente, così come i racconti dell’infanzia. Ho iniziato a mettere insieme i pezzi".

È stato un lungo lavoro. Cosa ha provato alla fine della produzione?

"Il processo è stato davvero molto lungo. Per due anni ho lavorato sul territorio, intervistando le mie zie e gli abitanti. Ho riscoperto i tesori di famiglia, le foto e altre cose, che erano nella mia memoria, latenti, e sono diventate patenti. In un paio di occasioni, da quando il film è stato consegnato al pubblico, ho sentito un salto al cuore, quel momento magico in cui vedi che negli occhi delle persone è successo qualcosa".

Com’è andato il lavoro con gli attori? Ha unito attori professionisti ad altri non professionisti…

"Lavorare con attori non professionisti crea uno standard di verità molto potente, al quale i professionisti devono adeguarsi. Uno degli obiettivi era che si sentissero una famiglia: che riuscissero a toccarsi e ad avere fiducia nell’altro. Ci siamo riusciti grazie ad esercizi di abbandono del corpo, ma anche grandi colazioni e pranzi tutti insieme. Così è diventato quasi un gioco e il clima sul set era di grande dolcezza e accettazione reciproca. E la recitazione sempre in sottrazione, mai pomposa".

‘Vermiglio’ è stato accostato a ‘L’albero degli zoccoli’ di Ermanno Olmi e per l’uso del dialetto e di attori ‘di strada’, alla corrente neorealista. Ha avuto questi riferimenti?

"Quando faccio un film non penso ai riferimenti, ma sicuramente la metodologia del cinema che applichiamo è quella che abbiamo ereditato".