Roma, 20 dicembre 2022 - All’uscita del feretro, nel fiume di persone e colori, colpiva l’occhio una maglia del Bologna issata sopra a tutti. A spalancarla al cielo, con due mani e un cuore gonfio, era Matteo Elmi, 22 anni. È arrivato a Roma viaggiando tutta notte su un pullman. "Siamo partiti all’1.30 da Bologna e arrivati alle 6.30. Con il bus dopo avrei fatto troppo tardi: invece, io dovevo esserci per forza". Dietro quel "per forza" non c’è solo la passione di un giovane tifoso rossoblù. C’è dell’altro a muovere i suoi sentimenti: lui Mihajlovic l’ha conosciuto davvero. E non è stato un incontro come gli altri: perché è stato un incontro dentro un ospedale.
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Matteo, come vi siete conosciuti?
"Nel settembre 2019: lui stava affrontando la prima parte della sua battaglia, io combattevo già la mia".
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Contro cosa?
"Un linfoma. Ero seguito dal reparto di Ematologia del Seragnoli - un altro team rispetto a quello del tecnico serbo -, ed ero in ospedale per un controllo. Purtroppo, il giorno prima la dottoressa Casadei mi aveva dato un brutta notizia: avrei dovuto continuare le cure. E allora, sapendo che sono un tifoso sfegatato del Bologna, ha deciso di farmi una sorpresa per tirarmi su il morale".
Quale?
"Mi ha portato al piano di sopra e lì, ad aspettarmi, ho trovato Mihajlovic. È stato un incontro stupendo, abbiamo chiacchierato un po’, mi ha dato una pacca sulla spalla: un momento che mi ha dato una grande forza. Poi Sinisa ha tirato fuori una maglia rossoblù autografata da lui e da tutta la squadra e me l’ha regalata".
Avrebbe mai immaginato un giorno di portare quella maglia al funerale del tecnico?
"No. Quando venerdì ho appreso della sua morte, non ci credevo fosse successo. Mi sono detto: ma come? Proprio a una persona forte come lui. Per me era impossibile. Ho provato un forte senso di paura e ingiustizia".
Non c’è il rischio che la storia di Sinisa abbia un effetto collaterale, cioè, abbattere tutti quelli che in lui avevano trovato stimoli e sostegno?
"Il suo esempio rimane ed è preziosissimo. Lui ha parlato della malattia senza filtri, che non è una cosa per nulla facile. Poi ha detto solo parole giuste: sono sicuro che abbia dato forza a tutti e abbia fatto capire quali siano le cose importanti veramente. E lo dico perché, confrontandomi con altri pazienti, Sinisa ricorre spesso. Tutti si preoccupavano di come stesse perché tutti a Bologna gli volevano bene. Ed era il punto di riferimento per tutti quelli ricoverati in ospedale".
Lo ha più incontrato dopo quella volta?
"Sì, pochi mesi dopo. È stato un incontro breve, due minuti, lui doveva fare un controllo. Ma l’ho apprezzato molto, perché è stato disponibile e carino nonostante non stesse bene. Mi ha dato più forza lui in quei piccoli momenti insieme che in mille altri giorni. Mi ritengo fortunato ad averlo incontrato".
Lei come sta ora?
"Per fortuna bene, gli ultimi controlli erano ok. Lavoro al mio futuro. Ho finito tre anni di ingegneria meccanica a Bologna e ora sto studiando al Politecnico di Milano da settembre".
Le resta poco tempo, allora, per il Bologna?
"No, quello cerco di trovarlo sempre. Sarò all’Olimpico di Roma il 4 gennaio per la ripresa del campionato. Ogni trasferta che facevo da quando ho incontrato Sinisa, la facevo per lui. Certo, andavo per il Bologna, ma soprattutto per lui. E ora che non c’è più continuerò ad andare: credo sia questo il modo migliore per ringraziarlo".