Bologna, 16 novembre 2023 – Tutto si può dire fuorché non sia un uomo di mondo. Uno che per forza di curriculum capisce da sempre la politica e le sue sottigliezze, i suoi bizantinismi come i suoi tempi, che non sono quasi mai quelli del fare, ma sono quasi sempre quelli del compromesso. "E va bene, si sa che gira così dappertutto. A Bologna e a Roma, ma anche in Spagna le cose vanno così, vanno perfino peggio che da noi. Però pure io ho la mia età, non sono mica eterno. E allora sapete che vi dico? Che se non lo facciamo qui il palazzetto, qui alla Fiera di Bologna, perché non si vuole o non si può fare, allora valuteremo un progetto per realizzarlo a Castel San Pietro (video)".
Massimo Zanetti in Segafredo, trevigiano classe ’48, magnate mondiale del caffè e appassionato presidente della Virtus Bologna, non fa in tempo a sedersi che sgancia la bomba. Lo fa col sorriso sornione e i modi compassati e gentili di chi sa che la sta dicendo grossa, e proprio per questo non vuole darlo a vedere. Uomo di mondo, appunto. Si aggiusta il colletto della giacca blu mentre da sotto gli occhiali guarda le reazioni dei colleghi, in redazione. La bomba ha fatto effetto.
A Castel San Pietro?
"Con Gherardi (il suo socio Carlo Gherardi, entrato in Virtus a fine giugno col 40%, ndr) ci stiamo riflettendo".
La vicenda è nota, le sue pene anche: Virtus non ha un palazzetto e lo vuole, come tutte le società sportive che guardano al futuro sapendo che i risultati in campo non prescindono mai da imprese lungimiranti. "E una casa per Virtus significa indipendenza, solidità, fatturato", ricorda pragmatico patron Zanetti. Dopo aver girovagato tra Unipol Arena, PalaDozza e Fiera – dove la squadra è ospite dal 2019 – tutto sembrava pronto per il via ai cantieri del nuovo impianto, sempre in via Michelino. Fine lavori prevista entro novembre 2024, un anno esatto da ora.
E invece.
"Invece prima c’è stato il Covid, che come sappiamo ha cambiato tutto: prospettive e investimenti. E poi BolognaFiere ha deciso di quotarsi in borsa: servono tempi tecnici, budget e assetti societari".
Quindi?
"Tutto il progetto per la nuova Arena rischia di restare fermo".
Così lei è disposto a espatriare, pur di realizzarla in tempi brevi.
"Tempi giusti, non brevi. Espatriare... beh, in fondo andando a Castel San Pietro usciamo da una dimensione cittadina, diventiamo regionali. E ha un senso: Virtus ormai non ha tifosi solo a Bologna. Allarghiamo gli orizzonti, rispettando il nostro pubblico".
Quindi ha già deciso, se ne va?
"Sono un uomo paziente, e prudente. Sul progetto in Fiera ho investito molto, tutto. Mettiamola così: ho pronta una soluzione alternativa".
Qualcuno potrebbe prenderla male. Il sindaco Lepore cosa dice?
"Con lui il rapporto è ottimo, davvero. Come con tutti i sindaci prima di lui. Sapete chi fu il mio primo sindaco, qui a Bologna? Zangheri. Mi diede anche lo stemma della città. Comunque il problema non è certo Lepore, ci mancherebbe altro, e men che meno il problema sono i bolognesi. I bolognesi sono speciali...".
E allora qual è il problema?
"I meccanismi".
Spieghi meglio.
"Il punto è che cosa si può fare davvero e come lo si può fare, il punto sono le zone grigie che stanno tra la politica e l’impresa. La zona grigia pretende, ritarda, rallenta, decide o vorrebbe decidere. E tu intanto resti impigliato in mezzo, e rischi di non riuscire a combinare più niente".
A lei è successo?
"Come a tutti, direi".
Nello sport almeno la situazione è comune a molti. Pensiamo al calcio: Bologna, Firenze, Milano. Con i dovuti distinguo, la questione stadi non trova pace.
"Il calcio, certo. Lì il problema è all’ennesima potenza: Saputo mi fece un grandissimo favore quando comprò il Bologna. Ma non è un caso che ormai i principali Club siano in mano agli stranieri. Di italiani mi vengono in mente Cairo, Lotito, De Laurentiis, Iervolino a Salerno, Pozzo a Udine, Setti a Verona. Ma dilagano gli stranieri e, appunto, non è un caso".
Bologna, però, è un motore economico con pochi eguali in Italia, i suoi imprenditori fanno scuola.
"La fortuna di Bologna sono i bolognesi. Prenda me, che qui ho costruito tutto: ci sono riuscito perché sono stato accolto come non mai. Accolto è proprio la parola giusta".
Ancora oggi?
"Non c’è dubbio. Certo in cinquant’anni di acqua sotto i ponti ne è passata".
Cinquant’anni.
"Esatti esatti. Sono arrivato nel 1973".
E com’era qui, nel 1973?
"Bello. Diciamo che alcune cose sono davvero sparite. In cinquant’anni è cambiata la musica e sono cambiate le persone, le osterie come le botteghe, perfino i nomi di qualche strada, e non ci sono più tutti quegli indirizzi di fiducia dove uno poteva andare a scatola chiusa e a cuor leggero. Sarà anche l’età a farmi vedere le cose così, pure io ho la mia. Però a me quella Bologna là piaceva di più".
Qual era quella Bologna là?
"La mia era la Bologna dei tortellini da Biagi, a Casalecchio, e poi delle cravattine comprate da Minarelli. Era proprio la Bologna del Carlino... Pure voi, del resto, avevate Spadolini, con tutto il rispetto".
Ci mancherebbe.
"Ecco: solo Gianni Morandi è rimasto quello di prima. Solo lui" (ride di nuovo, ndr ).
In pratica lo sta dicendo lei: da noi come sempre tutto cambia perché non cambi nulla.
"Il mondo va avanti, è andato avanti anche qui a Bologna. Ma non nelle cose importanti, non in quelle che potrebbero proiettarci nel futuro. Non ci sono più i tortellini da Biagio, purtroppo, e invece le zone grigie sono rimaste le stesse. L’Italia è un paese vecchio, e sta invecchiando senza lasciare abbastanza al dopo. Torniamo alla questione degli impianti sportivi: non sono una velleità, non sono un gioco. Sono vitali".
Perché sono così importanti?
"Prendiamo il mio caso, anche io devo far quadrare i bilanci: un’Arena dà la possibilità di aumentare gli incassi e poi di allargare le prospettive dell’offerta. Succede così in tutto il mondo, quando vado a Monaco o a Valencia e penso a come stiamo messi noi mi viene da vergognarmi. E poi ci sono le questioni sportive: l’Eurolega, per esempio...".
A proposito, ieri avete vinto contro Milano.
"I ragazzi sono stati fantastici. Ma senza una struttura adeguata, con gli standard che pretende l’Europa, rischiamo di finire tagliati fuori. Intanto, però, festeggiamo il successo".
Cosa ha la Virtus che Milano non ha?
"Il senso di famiglia. I giocatori che vengono a Bologna non vogliono più andare via. Quando Weems ha lasciato per il Derthona lo ha fatto piangendo".
Oggi dove vuole arrivare?
"In Eurolega saremmo felici dei playoff, siamo partiti bene. E poi spero di conquistare la Coppa Italia, è l’unico trofeo che mi manca".
Lo scudetto?
"Finiremo ancora una volta a fare battaglia con Milano".
Con gli arbitri ha fatto pace?
"Ma io non dico mai nulla sugli arbitri. Nel 2022 mi misero in croce perché alla fine di una partita ho alzato un po’ la voce, ma stavo solo difendendo il mio allenatore".
Giugno 2022: era la finale scudetto contro l’Armani. Quella volta sembrava piuttosto arrabbiato, però.
"Macché arrabbiato, ho fatto la voce grossa solo perché nell’arena si sentiva poco".
È contento di coach Luca Banchi?
"Mi aspettavo partisse così".
Quali sono i grandi campioni Virtus ai quali è più legato?
"Belinelli e Hackett. Tra le donne Zandalasini, Pasa e Barberis".
Quando ne parla le si illuminano gli occhi.
"Perché il basket per me è una specie di vocazione. È uno sport di precisione: non di potenza, ma di stile. Il punto non è correre, il punto è tirare, restando concentrati. Come nella vita".