di Claudio Cumani
Lo dice senza alcun imbarazzo: non è il libro migliore a vincere un premio letterario ma quello che incontra in quel momento il gusto della giuria. L’ammissione può sembrare inconsueta per un autore che meno di tre mesi fa si è aggiudicato lo Strega ma Mario Desiati (pugliese, 45 anni, già nella cinquina di questo concorso undici anni fa con ‘Ternitti’) ama la schiettezza. Il suo ‘Spatriati’ (Einaudi) mette in scena le complessità di una generazione irregolare e al tempo stesso racconta le tante forme che può assumere il desiderio attraverso il rapporto simbiotico e accidentato dei due protagonisti Claudia e Francesco: una parabola che copre decenni e che dal Sud approda alle grandi città europee. Martedì alle 18, nell’ambito de ‘La voce dei libri’, Desiati lo presenta in Salaborsa. Dialoga con l’autore Marco Antonio Bazzocchi e all’appuntamento intervengono il sindaco Matteo Lepore e Stefano Petrocchi, direttore della Fondazione Bellonci, in collaborazione con la quale si tiene l’evento.
Desiati, cominciamo dal titolo, ‘Spatriati’: si riferisce a chi si sradica dalla propria terra?
"Credo che l’uomo abbia bisogno più di strade che di radici e che sia bene romperle per rimuoverle o sabotarle. Non bisogna però confonderle con le origini: le radici trattengono, le origini hanno a che fare con la formazione di una persona composta da atti, tradizione e liturgie. In dialetto ‘Spatriati’ ha una valenza fortemente negativa, significa che non sei come gli altri, non ti sei realizzato, sei un irregolare".
Cosa ha significato vincere lo Strega?
"Intanto condividere due mesi con gli altri undici autori in gara e quindi avere la possibilità di conoscere nuovi sguardi, stringere amicizie, scambiarsi idee. E poi ovviamente ampliare la propria schiera di lettori. Devo dire che mi sono reso conto di poter vincere solo alla prima votazione. Prima non ci avevo proprio pensato".
Non ama che si definisca il suo romanzo generazionale. Perché?
"Perché non esiste in assoluto il romanzo generazionale come non esistono personaggi senza un tempo storico. Racconto un rapporto che da fine anni ‘90 arriva ai nostri giorni. Poi certo, Claudia e Francesco possono intesi come gli ultimi esponenti della generazione X".
A chi è debitore il suo linguaggio?
"Ad autori e poeti che hanno la penna ben piantata nel ‘900 come Moravia, Morante, Bassani o a poeti quali Vittorio Bodini. E’ vero però che la seconda parte del romanzo ha una scrittura più diretta, quasi suggestionata dalla musica elettronica".
Un altro suo libro, ‘Il paese delle spose infelici’, è diventato un film. Capiterà anche a ‘Spatriati’?
"Una casa di produzione ha acquisito i diritti e sta lavorando ad una serie televisiva. Io però preferisco mantenermi a distanza".
Del suo libro si è detto che è autobiografico e legato alla provincia. E’ d’accordo?
"L’autobiografismo in realtà riguarda solo i luoghi. E la provincia è un punto di vista, un legame che favorisce la scrittura. Racconto il movimento di due persone di provincia che vanno in direzione autonoma verso le grandi città per cercare di essere loro stesse".
Il suo prossimo libro?
"Ci lavoro da più di un anno. Avrà una doppia anima, fra Taranto e la Germania, e sarà segnato da un evento storico che attraversa tutto il ‘900. Non è una saga ma il racconto di un personaggio che ricostruisce i medaglioni della propria famiglia".