REDAZIONE BOLOGNA

L’ultimo Scaparro: "Un grande del ’900"

Edoardo Siravo protagonista questa sera e domani al Dehon dello spettacolo ’Il re muore’ "Dinamiche che toccano tutti".

Una scena di ’Il re muore’, con l’ultima regia firmata da Maurizio Scaparro Il protagonista è Edoardo Siravo

Una scena di ’Il re muore’, con l’ultima regia firmata da Maurizio Scaparro Il protagonista è Edoardo Siravo

Per alcuni, Il re muore è il il vertice più alto raggiunto dalla creazione drammatica di Eugène Ionesco. Quello che andrà in scena al Teatro Dehon stasera e domani alle 21 è anche l’ultima regia firmata da Maurizio Scaparro, uno dei più grandi registi italiani, scomparso ad aprile dello scorso anno. Al centro, un re prepotente, interpretato da Edoardo Siravo: non vuole accettare il fatto che la sua ora è vicina, pretendendo di rendere il destino un suddito, come chiunque altro.

Siravo, rappresenta un re che dovrebbe essere alla guida dell’universo, ma è soltanto un uomo che sta decadendo… "Esatto, è l’aspetto meraviglioso del testo: il re arriva in scena non avendo intuito la deflagrazione della sua vita. La Corte glielo fa notare e lui pian piano si spaventa, comincia a ragionare sul passato, sul presente e sull’eventuale futuro. Una dinamica che tocca tutti…".

Come ha lavorato al personaggio?

"Ho pensato anche a figure contemporanee, che si muovono come se dovessero vivere in eterno. Ce ne sono tanti, anche tra i politici...".

Per esempio?

"Non è più al mondo, ma Silvio Berlusconi è stato uno di questi. Personaggi che finiscono in situazioni non proprio corrette, credendo di essere superiori a tutto. Ma anche noi attori a volte siamo così, convinti di vivere una vita imperitura".

Un ricordo del lavoro fatto con Maurizio Scaparro?

"Maurizio era l’ultimo genio dei pochi, grandi registi del Novecento. Quest’ultimo capolavoro è stato purtroppo interrotto dal Covid. È stato faticoso, ma lui, con la sua delicatezza, tipica di quei grandi registi, aveva la capacità di andare in fondo al testo. Il teatro italiano gli deve molto, funzionava tutto un po’ meglio quando c’erano persone come lui".

Quale colpo di genio ebbe per questa produzione?

"I costumi di Santuzza Calì, per esempio, realizzati con carte da gioco. Poteva sembrare eccessivo, invece ha un senso molto profondo, non solo estetico".

Chi è stato il suo maestro?

"Giancarlo Sbragia era straordinario, era uno degli attori più grandi del ’900 assieme a Salvo Randone, con cui ho avuto l’onore di lavorare. Poi Giulio Bosetti, col quale ho fatto tanti spettacoli, anche a Bologna".

Amalia Apicella