ANDREA MAIOLI
Cronaca

Il fantasma di Lucio Dalla

Il commento

Corso Buenos Aires - Lucio Dalla

Bologna, 2 marzo 2016 - Ci sono le parole della politica, un blablaismo che spesso gira a vuoto. Ci sono i ‘faremo’, ‘studieremo’, ’faremo un tavolo’ (quest’ultima va molto di moda, quando non si sa cosa fare ci si riunisce attorno a un tavolo...). Intanto Lucio Dalla – nato il 4 marzo 1943, morto il 1 marzo 2012 – aleggia solo come un fantasma nelle stanze di chi dovrebbe decidere, come una presenza ancora forte e viva nella testa e nel cuore dei bolognesi.

La casa di via D’Azeglio rimane chiusa, il suo sberleffo sta ancora nel nome del campanello (Domenico Sputo). Fuori indigeni e stranieri alzano gli occhi verso l’installazione sulla facciata e verso il terrazzino. Tagliati fuori.

Una città che si è ritrovata, per caso e per destino, Lucio Dalla come figlio cosa avrebbe dovuto fare? Organizzare, pensare, fare. Soprattutto progettare qualcosa che diventasse memoria stabile e non improvvisazione. Mettere al bando le iniziative estemporanee-dilettantesche. Evitare la retorica della beatificazione che lui da lassù se la ride sicuramente. Ma fare, fare qualcosa che abbia un senso per attirare ancora nuovi turisti, per farlo sentire sempre vicino a quella comunità che lo aveva per amico.

Alla faccia di quel ministro che sentenziò che con la cultura non si mangia, con la cultura invece si può mangiare eccome. E su Lucio Dalla si dovrebbe e potrebbe creare un business culturale (le due parole non sono incompatibili). Quello che manca, a Bologna, è sempre e solo una cosa: la progettualità. Quello che abbonda è l’improvvisazione. «Il lavoro creativo è sospeso tra la memoria e l’oblio», parola di Jorge Luis Borges. Triste, solitario y final.