Bologna, 6 agosto 2024 – Ragazzine che non solo prendono a botte un’altra solo per una questione di antipatia, ma non si fermano nemmeno davanti ai poliziotti arrivati per calmarle, aggredendo anche loro. Tanto che in due sono stati medicati in ospedale.
Aggressioni molto violente che non si fermano nemmeno davanti alle forze dell’ordine. Cosa sta succedendo?
"Una premessa: l’aggressività non è per forza patologia, è parte dell’uomo. La sociologia, quando si occupa di aggressività, arriva a dire che è sempre conseguenza di una frustrazione rispetto a un percorso di vita, a un desiderio. Non possiamo poi ignorare oggi l’effetto negativo del clima di guerre, tensioni e aggressività che i ragazzi vedono e ascoltano di continuo. Bisogna che ci interroghiamo su quella che fu definita la ’banalizzazione del male’. Gli adolescenti stanno avendo questo messaggio: è come se fosse normale l’uso della violenza per ottenere qualcosa", risponde Stefano Costa, direttore Unità operativa dipartimentale Psichiatria-psicoterapia età evolutiva dell’Ausl.
Come psichiatri che cosa osservate maggiormente?
"In età evolutiva vediamo soprattutto l’aggressività verso se stessi, l’autolesione, con un abbassamento dell’età: arrivano in Pronto soccorso anche a dodici anni, In questo caso, parlando di ragazze che fanno del male agli altri, dal lato della psicopatologia entra in gioco la capacità di autoregolazione".
Può spiegare meglio?
"Gestire gli impulsi, nella patologia di oggi si sta mostrando maggiormente. L’altra dimensione è una mancanza di empatia, il non avvertire il fatto e che sto facendo del male all’altro che se qualcuno lo facesse a me sentirei dolore".
Quali sono i fattori di rischio, per i giovani, che possono portare a un tale livello di aggressività?
"Si può indicare il fallimento scolastico, il rifiuto da parte dei parti, quindi l’isolamento sociale, lutti. La letteratura riporta anche uno scarso controllo genitoriale, la mancanza di aspirazioni, di opportunità di partecipare allo sviluppo positivo e sociale. Quindi nei fattori di rischio ci sono la mancanza di attività creative, extrascolastiche, musica, teatro, sport o, se ci sono, la non possibilità di accesso da parte di questi giovani".
Cosa si può fare per offrire loro un valido aiuto?
"Serve una famiglia che supporta che, vuol dire un monitoraggio genitoriale che è controllo, ma anche calore. Poi legami con qualche tipo di associazione, un gruppo che trasmetta valori e la presenza di figure adulte che siano in grado di valorizzarne i punti di forza, l’autostima. Possono essere i genitori, i docenti, gli educatori, gli allenatori".
Che ruolo hanno i social?
"Nell’ambito del vuoto che i ragazzi a volte vivono, mettere sui social qualcosa che esce dalla normalità può essere qualcosa che stimola. Però è più una risposta al riempimento del vuoto che la causa originaria, anche con immagini o video fuori dalla legalità. E torniamo al discorso di un mondo che, da alcuni anni, vive la guerra come una qualcosa che si fa con troppo facilità: per rivendicare un diritto si prendono le armi. È un messaggio molto pericoloso per i ragazzi".
Quali sono i attori principali per quanto riguarda la prevenzione?
"Una prevenzione di tipo universale che andrebbe data a tutti i ragazzi e le scuole possono fare molto. Rischiamo di chiedere tante cose a questa istituzione ma è anche vero che è il luogo del gruppo dove si possono passare i valori. Poi bisogna offrire luoghi sani e belli di incontro: chi capisce di essere bravo in qualcosa è difficile che cada in atteggiamenti violenti. E se ci sono segnali di disagio chiedere aiuto e consigli alle reti sanitarie e sociali che sono sul territorio a iniziare dai pediatri e dai medici di famiglia. E poi supportare i genitori perché quando ci sono queste situazioni la gestione è veramente molto complessa".