"Si ritrovò in loro balia, trattato come un oggetto". Ha usato parole dure, il pubblico ministero Maria Rita Pantani, per descrivere il trattamento che avrebbe ricevuto un detenuto tunisino, oggi 44enne, in passato nel carcere della Pulce di Reggio Emilia, da parte degli agenti della polizia penitenziaria che lui denunciò: "Un uomo ridotto a essere un ‘non uomo’". Ieri il pm ha chiesto la condanna per tutti e dieci i poliziotti che hanno scelto il rito abbreviato, accusati a vario titolo di tortura aggravata - perché commessa da pubblici ufficiali violando la disciplina della loro funzione -, lesioni al 44enne, oltreché di falso nelle relazioni sull’episodio contestato, datato 3 aprile 2023 e anticipato dal Carlino.
Davanti al giudice dell’udienza preliminare Silvia Guareschi, ieri è stato mostrato il video delle telecamere interne che riprende l’accaduto. Il pm ha chiesto 5 anni e 8 mesi, per un 46enne viceispettore della polizia penitenziaria. Per altri sette colleghi sono stati invece domandati 5 anni; richiesta più lieve, 2 anni e 4 mesi, per altri due accusati solo di falso nelle relazioni. Secondo la Procura, il detenuto uscì dalla stanza della direttrice del carcere dopo averla insultata per essere stato sanzionato per violazioni del regolamento del carcere. Fu incappucciato con una federa al collo e colpito con pugni mentre veniva spinto verso il reparto di isolamento. Quindi denudato e condotto nella cella; qui, non più col volto coperto, sarebbe stato preso a calci e pugni e lasciato nudo dalla cintola in giù.
In febbraio il Guardasigilli Carlo Nordio parlò di "immagini indegne per uno Stato democratico"; sulla scia il ministro degli Interni Matteo Piantedosi: "Non sono cose accettabili". Secondo la Procura, fu attestato falsamente che il 44enne cercò di colpire gli agenti con una lametta sputata con tracce di sangue, che avrebbe attinto il viceispettore 46enne al colletto, e che gli erano state trovate lamette in tasca. Per il pm "non esistevano: sono state evocate solo a posteriori per costruire una linea difensiva". In questi mesi si sono susseguiti gli interrogatori davanti al giudice degli agenti imputati. Il 46enne, ad esempio, ha chiesto scusa in aula per un colpo che diede al volto del detenuto a mano aperta, mentre era a terra, ma ha anche raccontato che lui appariva esagitato: "Urlava e minacciava, non voleva andare in isolamento. Fui colpito da uno sputo". E che trovò le lamette: "Le buttai nel cestino".
Un altro ha ammesso l’uso della federa, giustificandola però come unico mezzo utile a contenere il detenuto: "Non l’ho mai stretta al collo. Ho invece verificato che lui respirasse mettendo la mano sotto, come si vede dai filmati". E fu denudato "per verificare se avesse lamette anche negli indumenti intimi". Il 44enne è costituito parte civile affidandosi all’avvocato Luca Sebastiani, che discuterà nella prossima udienza, quando inizieranno le arringhe difensive. Ieri la parola è andata alle altre quattro parti civili: Garante nazionale e regionale dei detenuti, associazioni Antigone e Yairaiha. Sentenza il 20 gennaio.