C’è un’assenza che non passa inosservata durante la cerimonia in onore dei tre giovanissimi carabinieri del Pilastro, trucidati dalla banda della Uno Bianca il 4 gennaio 1991, in via Casini: è quella di Rosanna Rossi Zecchi, moglie di Primo, altra vittima (nell’ottobre 1990) dei fratelli Savi. "Sono fuori Bologna per impegni personali – spiega lei, contattata dal Carlino –, nessun retroscena". Ma dopo un attimo aggiunge: "So che stanno parlando molto del fascicolo presentato in Procura, stanno dicendo che non è venuta fuori la verità piena sui fratelli Savi, che dietro c’era altro, che non è emerso tutto. Magari sarà anche così, ma se non è emerso fino a oggi, adesso basta".
Dallo scorso settembre, Rosanna non è più presidente dell’associazione dei familiari delle vittime: ha lasciato dopo 26 anni di impegno – "ero stanchissima", spiega –, ma resta la vicepresidente dell’organizzazione e "ho sentito diverse voci, tra gli associati, dire che basta, non se ne può più (in merito al proseguire le indagini sulla Uno Bianca, ndr). E non hanno tutti i torti, bisogna dire. È un supplizio incredibile, incomprensibile per chi non lo vive. Andare avanti a indagare sarebbe come un tornare indietro. Già non ho dormito per tante notti, già ho battagliato tanto, ottenendo anche molto per gli associati. Con la mia coscienza sono a posto, ho fatto tutto quello che potevo". E poi, "l’importante è che gli assassini sono in carcere. E speriamo che ci restino".
Tra l’altro, "mi è stato proposto di firmare un fascicolo senza però poterlo leggere. Come posso firmare, se non so che cosa contiene? In seguito mi è stato dato un sunto di una ventina di pagine, ma a mio avviso non c’era nessun nuovo elemento utile per procedere. E ancora, se in passato alcuni inquirenti hanno lasciato intendere che non c’erano elementi per riaprire il caso, allora basta, è inutile". Quindi, forse non tutta la verità è emersa, ma dal punto di vista processuale la vicenda è conclusa e volerla riaprire a tutti i costi fa male. Questo il pensiero di Rosanna Zecchi. "Ad esempio, Macauda è vivo, andateci a parlare", incalza. Domenico Macauda, siciliano, ex sottufficiale del nucleo operativo dei carabinieri di Bologna, il 16 giugno del 1988, fu arrestato per calunnia e depistaggio due mesi dopo l’omicidio dei carabinieri Stasi ed Erriu a Castelmaggiore. "Io stessa ho studiato e ristudiato le carte e non ho mai trovato nulla di nuovo", dice Zecchi.
Dopo 34 anni, il ricordo del caro marito Primo è ancora vivissimo: "Era un uomo buono, che non sopportava le ingiustizie. E rispettava gli altri. Quel giorno (il 6 ottobre ’90) non riuscì a voltarsi dall’altra parte, era la sua natura. Ed è morto per questo". Lo tirarono fuori dalla sua Ritmo e gli spararono in testa. Rimase sull’asfalto, testimone coraggioso di una rapina dei Savi.