Bologna, 18 ottobre 2024 – Il medico Giampaolo Amato è stato condannato all’ergastolo: per la Corte d’assise, nel 2021 uccise la moglie Isabella Linsalata, pure lei medico, di 62 anni, e la suocera Giulia Tateo, 87, avvelenandole con un mix di farmaci per ereditare e poter stare con l’amante. Un dramma scoperto anche grazie alla tenacia di Anna Maria Linsalata, sorella di Isabella, che si è battuta per avere risposte sulla morte delle sue care e che ha consegnato agli inquirenti la prova chiave dell’inchiesta, la bottiglia di vino risultata positiva alla benzodiazepina che contribuì alla morte delle due donne: Anna Maria la sottrasse da casa della sorella nel 2019, dopo che la trovò stordita a seguito di una cena col marito, e la conservò tre anni.
Anna Maria, come sta?
"È finito un percorso pesante. Sento tristezza. Mi dispiace anche per mio cognato, che comunque è stato per tanti anni nella mia famiglia. Ma volevo che la giustizia definisse la verità. È successo".
Lei non ha mai perso un’udienza. La linea difensiva era che sua sorella fosse dipendente dai farmaci e ne desse pure a vostra madre, infine uccidendo accidentalmente entrambe. L’ha turbata?
"Molto. Hanno descritto Isabella come una depressa e mia mamma come un’anziana non autonoma, incapace di riconoscere le sue medicine o di dirle ’ma cosa mi stai dando?’. Un’immagine che nulla aveva a che vedere con quello che erano le due donne che ho tanto amato. Ecco perché sono contenta che questa sentenza abbia restituito loro la dignità e il rispetto che meritano".
La Procura ha riconosciuto come il suo desiderio di verità sia stato decisivo per l’inchiesta. Ma come si accetta l’ipotesi che il proprio cognato, con cui si sono condivisi pranzi in famiglia, festività, 40 anni di ricorrenze, possa essere l’assassino di sua madre e sua sorella?
"All’inizio non ho mai detto: è stato lui. Avevo però delle informazioni (le confidenze di Isabella che, risultata positiva alle benzodiazepine dopo aver bevuto dalla bottiglia poi conservata dalla sorella, le confidò di temere che gliele desse di nascosto il marito, ndr) che mi facevano venire dei dubbi. Così mi sono affidata a degli esperti: gli avvocati Maurizio Merlini e Francesca Stortoni, la Procura e i carabinieri, e i medici legali, che hanno fatto un lavoro importantissimo. Nulla era scontato, hanno lavorato senza pregiudizi. Anche io non ne avevo, se mi avessero detto che mia sorella era morta in altro modo l’avrei accettato. Non è stato così".
La difesa di suo cognato ha sostenuto che lei non temeva davvero che lui potesse fare del male a qualcuno, tanto che dopo l’episodio della bottiglia si fece visitare da lui. È così?
"Chiarisco ora la natura di questa ’visita’: mi ero ferita a un occhio, ero stata al pronto soccorso e la sera Isabella era venuta a trovarmi, portando anche lui per fargli dare una controllata, essendo oculista. Mi diede una lente per aiutare le cicatrizzazione. Non certo un intervento invasivo. Poi, cambiai oculista".
Dopo che sua sorella le confidò i timori sul marito, nel 2019, perché non lo affrontò?
"Parlargli era difficilissimo, molti hanno cercato di chiedergli cosa succedesse con Isabella, ma lui dava risposte vaghe, diceva ’sono stato birichino’, cambiava discorso. Era difficile entrare in confidenza con lui, tanto che tra noi non c’è mai stato un rapporto profondo e non aveva molti amici veri. In più, Isabella mi aveva scongiurato di non interferire. L’ho rispettata".
Pensava che lui la potesse uccidere?
"Mai l’avrei immaginato, tanto più dopo due anni, quando tutto pareva passato. Eppure Giampaolo, pur mai violento fisicamente, aveva atteggiamenti opachi, poco autentici, non trasparenti. Qualcosa di nascosto che l’ha portato qui".
Alla fine di tutto questo: chi era sua sorella?
"Una donna autonoma, dalla forza di volontà enorme. Forse la sua unica debolezza è stata non riuscire a lasciare andare Giampaolo, vedendolo solo e in difficoltà durante la loro crisi. Lei non si tirava mai indietro se qualcuno aveva bisogno d’aiuto, era generosa. Lo è stata con lui, fino all’ultimo".