L’ingegner Kaufmann, protagonista del romanzo d’esordio di Carlo Calabrò, ‘Meccanica di un addio’ (Marsilio), ha un problema con gli esseri umani. In particolare con quelli del minuscolo villaggio brasiliano di Araxá do Oeste, dove il suo sogno d’impresa ecologica ed etica si rivela un probabile fallimento. E proprio quando sembra che gli affari possano finalmente andare per il verso giusto, i suoi progetti vengono stravolti, costringendolo a barcamenarsi tra poliziotti incapaci, concorrenti senza scrupoli e una rete di criminali pronta ad assoldarlo. O forse a farlo fuori. L’autore presenta il libro domani alle 18 alla libreria Feltrinelli di piazza di Porta Ravegnana.
Calabrò, anche lei, come il suo protagonista, è un ingegnere e vive tra New York e il Brasile. Quanto c’è di personale nella storia che racconta?
"Neil Gaiman dice: ’E’ tutto vero tranne le parti che ho inventato’. Vale la stessa cosa per me. C’è tutto quello che ho personalmente vissuto in Amazzonia, poi la trama ha certamente preso il sopravvento. C’è quindi una componente un po’ memoir, come il racconto degli ambienti, delle situazioni e purtroppo anche delle organizzazioni criminali di cui ho avuto conoscenza abbastanza diretta. Tutti i personaggi, però, e le loro azioni sono immaginarie".
In che modo ha avuto "conosenza diretta" delle organizzazioni criminali?
"Mi è capitato di vedere ‘autostrade’ aperte nella foresta e sentirmi dire che da lì passavano i ‘camion della coca’ dalla Bolivia. La sensazione era che facesse parte dell’economia della regione. Oppure il fatto che alcuni fornitori di legnami adoperassero delle pratiche assolutamente anti-etiche sia da un punto di vista ambientale sia da un punto di vista della collusione con il narcotraffico".
Quando è nata l’esigenza di raccontare questo mondo?
"Ho provato a scrivere un saggio sulla mia esperienza, che poi è diventata un’opera di narrativa. Scrivere e raccontare mi è sempre piaciuto. In Brasile ho cominciato a scrivere sceneggiature, ma con questa operazione ho potuto avere controllo sul prodotto finale. Nel cinema, invece, sono il regista o l’attore ad avere l’ultima parola".
Da un punto di vista umano, cosa l’accomuna a Kaufmann?
"Ha i miei peggiori difetti, compreso il fatto di essere ingegnere. Alcune delle sue valutazioni errate provengono da una mentalità eccessivamente razionalista e poco attenta all’essere umano. In comune con me ha anche alcune esperienze da imprenditore. Gli ho prestato molti dei miei errori. Per esempio, sottovalutare moltissimo come funziona la realtà locale, che è complessa e articolata".
Amalia Apicella