PIERFRANCESCO PACODA
Cronaca

"La lezione di Fabrizio? Cercare la perfezione"

Ellade Bandini, grande batterista jazz, stasera al Duse ospite della formazione Hotel Supramonte, per l’omaggio a De Andrè

"La lezione di Fabrizio? Cercare la perfezione"

Ellade Bandini, musicista jazz di lungo corso, è ospite stasera della band Hotel Supramonte

Il suo personalissimo linguaggio sonoro ha attraversato le vicende più creative della canzone d’autore italiana. Da Francesco Guccini, che ha accompagnato sin dagli esordi dell’Osteria della Dame a Bologna a Fabrizio De Andrè, del quale è stato stretto collaboratore da metà degli Anni ’80 sino alla scomparsa. Ellade Bandini, batterista tra i più originali della scena italiana, è l’ospite d’onore della serata Omaggio a Fabrizio De Andrè, in programma stasera alle 21 al Teatro Duse. Sul palco gli Hotel Supramonte.

Bandini, come è nato il suo rapporto con De Andrè?

"Come spesso succede nel mondo della musica, tutto è avvenuto casualmente. Nel 1984 incontrai Mauro Pagani in un locale a Milano, mi chiese se fossi interessato a sostituire lo storico batterista di Fabrizio, con il quale non avevo mai suonato, che non era più disponibile. Ero prevenuto, Fabrizio aveva una fama terribile, troppi sbalzi di umore, difficoltà nei rapporti personali. Era tutto vero, ma dopo esserci conosciuti non ci siamo più lasciati sino alla sua morte".

Aveva anche fama di essere un vero perfezionista.

"Di un perfezionismo maniacale, esasperato. Aveva un enorme rispetto per il pubblico e voleva sempre offrirgli un prodotto perfetto, ogni sera. Aveva sempre il timore di deludere gli spettatori. Per lui il concerto doveva suonare esattamente come il disco, ogni sera uguale, senza sbavature e, soprattutto, senza improvvisazione. Io venivo dal jazz, dove l’improvvisazione è tutto, ma quella di De Andrè è stata una grande lezione professionale. Mi ha insegnato ad amare la ripetizione, a non considerarla routine, ma esercizio di concentrazione".

E il gruppo seguiva ogni sua indicazione?

"Non c’era bisogno che Fabrizio parlasse, bastava un’occhiata per far suonare tutti noi esattamente nella maniera che lui voleva. La possibilità di sbagliare non era ammessa".

Precisione che lo accompagnava ovunque...

"Le prove erano sempre alle 18, puntualissimi. In genere le facevamo solo in tre, il nucleo più stretto della formazione. Lui arrivava, ci abbracciava, e andava al microfono, spandendo in giro l’odore di un dopobarba che sembrava uscito da una vecchia barberia... Dopo rimaneva in camerino a leggere un giornale, da solo, in attesa dell’inizio del concerto".

Più difficile il rapporto umano. "Fabrizio era uno straordinario intellettuale, uno che aveva letto tutto, un onnivoro della cultura. Noi eravamo, in fondo, dei musicisti: c’era grande sintonia, ma era davvero difficile parlare con lui, ad esempio, di letteratura. Io ho provato, qualche volta, ma la sua conoscenza difficilmente ammetteva repliche. Io, in quel periodo, praticavo la meditazione trascendentale e questo mi aiutava moltissimo nella relazione con lui".

Come definirebbe Fabrizio De Andrè?

"Un grande artista di cui ti potevi sempre fidare. Sul palco ti trasmetteva la sensazione di far parte di un’idea, di un lavoro collettivo, anche se naturalmente la star era lui. Avvertivi la vicinanza, con Fabrizio non ti sentivi mai solo".