Tiberio Rabboni, neo presidente dell’Ente parchi Emilia Orientale è stato un amministratore di lungo corso che conosce bene l’ambiente anche per vocazione personale. Ha guidato anche l’assessorato regionale all’Agricoltura. Nessun dubbio quindi sulle competenze e sull’uomo, che sa anche essere laico e svincolato dalla melassa amministrativa tipica del centrosinistra. Il nodo vero non sono tanto coloro che occupano posti di vertice (ma a volte le nomine solo politiche fanno danni), è l’intero meccanismo di gestione dei parchi ad apparire farraginoso, complicato, affondato nella palude della burocrazia e dei troppi organismi. In Emilia Romagna ci sono oltre venti grandi e piccoli parchi fluviali, di pianura e appenninici, oltre alle aree protette, ognuno con la propria amministrazione, incardinati in enti che ne riuniscono alcuni a seconda delle zone. Una frammentazione inutile, dato che l’Emilia Romagna non è grande come l’Africa. Ognuna di queste gestioni ha una propria visione e i parchi più piccoli hanno meno mezzi di quelli più strutturati. Sulla difesa idrogeologica e sulla manutenzione dei percorsi si incrociano e si sovrappongono compiti e competenze in un intreccio che non ha nulla di virtuoso. Il buonsenso induce a pensare che servirebbero meno campanili, meno poltrone e organismi più ampi e più snelli.
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