REDAZIONE BOLOGNA

La Barsacq e il corpo delle donne: "Si emancipa attraverso la danza"

Ida don't cry me love è uno spettacolo di Lara Barsacq che celebra la vita di Ida Rubinstein, musa dei Balletti Russi, come manifesto femminile di corpo, arte e libertà. Una performance che esplora la ricerca di nuove identità e la forza dell'amore per l'arte.

La Barsacq e il corpo delle donne: "Si emancipa attraverso la danza"

Un manifesto del femminile oggi potrebbe "suonare" come strano, bizzarro, demode’, perché quello che ha nutrito l’emancipazione da decenni, ovvero l’essere donna e andarne fiere, oggi pare un concetto sorpassato dalla ricerca di tante nuove identità in cui ridefinirsi, perché in effetti ‘donna’ non è più abbastanza. Con Ida don’t cry me love, invece, la coreografa belga Lara Barsacq – ospite stasera alle 21 di Gender Bender alla sala Centofiori – cerca di riproporre un manifesto femminile per parlare di corpo, arte e libertà. E, appassionata di archivi coreografici, si ispira a Ida Rubinstein (1885-1960), musa di Sergej Djagilev e danzatrice dei balletti Russi, che fu la pioniera della performance art. Una prima nazionale.

Signora Barsacq, da dove le arriva il grande interesse per gli archivi coreografici?

"Lo zio di mia nonna era Leon Bakst, scenografo e disegnatore di costumi dei Balletti Russi dal 1909 al 1929. Così sono cresciuta con i suoi poster e i suoi libri e, in particolare, uno di questi poster ritraeva Ida Rubinstein, danzatrice dei Balletti Russi e musa di Bakst. Io già a 6 anni volevo essere lei. Mi faceva sognare, ho iniziato a danzare grazie a lei, che nei dipinti di Leon Bakst veniva fuori con tutta la sensualità e il senso del movimento possibili. In più, è anche un addio a mio padre, che morì a 42 anni, quando io ne avevo 11. Nel 2016, quando anch’io ho compiuto 42 anni, ho deciso di omaggiarlo con un "solo monologue" e ho iniziato a cercare nell’archivio della Biblioteca Nazionale francese trovando tante cose su Leon Bakst, che era suo pro-zio, da scritti a dipinti. Ma su Ida non ho trovato quasi nulla, anche se è stata molto attiva"

Lei le ha restituito una consistenza biografica attraverso l’arte che amava, la danza.

"Sì, e mi ha permesso di affrontare anche un discorso politico, perché insomma, tante opere che ha commissionato e pagato, visto che era molto ricca, sono ancora dei capolavori. Come il ’Bolero’ che commissionò a Ravel e che personalmente danzò per prima".

Come traduce tutto questo nello spettacolo?

"Ci sarà una conversazione frontale, coi sottotitoli in italiano, ci saranno momenti giocosi, improvvisamente danziamo, cantiamo ed evochiamo tutte le donne che Ida ha performato, Salomè che Ida danzò nuda, Cleopatra, Elena di Sparta, le donne della mitologia greca. Un modo per parlare del corpo femminile. Attraverso donne emancipate di varie generazioni, evochiamo questo. Perché Ida è andata oltre i cliché della società grazie all’amore per l’arte che le ha dato forza e all’accettazione di sè, dimostrando che si può essere chi si vuole, ben oltre la finta perfezione di Tik Tok".

Benedetta Cucci