MARCO BEGHELLI
Cronaca

Kunde: "Canto con il cuore e l’esperienza"

Il tenore protagonista di ‘Luisa Miller’ e ‘Otello’ al Teatro Comunale: "Si padroneggia la propria voce solo dopo i 50 anni, così sono cambiato"

Migration

di Marco Beghelli

Il Teatro Comunale vanta quest’anno la presenza del tenore Gregory Kunde per ben tre titoli fondamentali: dopo Luisa Miller (fino a domani), sarà protagonista di Otello (dal 24 giugno), cui seguirà Andrea Chénier (dal 14 ottobre). Nato nel 1954 in una piccola cittadina dell’Illinois, sulla scena a Chicago fin dal 1978, nel 1992 si rivela in Italia come tenore rossiniano, divenendo un riferimento per i ruoli più virtuosistici. Nell’ultimo decennio ha progressivamente cambiato repertorio, virando dalle raffinatezze vocali del Belcanto alla forza drammatica di Verdi e Puccini, ed oggi, all’età di 68 anni – quando cioè i normali tenori sono da tempo in quiescienza – sta vivendo la sua terza giovinezza, continuando a debuttare uno dopo l’altro proprio in quei ruoli vocalmente sfiancanti che i tenori tendono a rifuggire (e sono ormai un centinaio i personaggi interpretati in scena). Gioviale con tutti, antidivo per natura, vanta uno stuolo di fan che prendono l’aereo per inseguirlo fra i maggiori teatri d’Europa, non restandone mai delusi: nelle recite bolognesi di Luisa Miller, anche le frasi più scabrose e impervie sono state affrontate con una sicurezza e brillantezza che ogni tenore ben più giovane gli invidia.

Maestro, un miracolo vocale?

"No, non è un miracolo, ma solo il frutto di tanti anni di lavoro e di pazienza. Da Alfredo Kraus ho imparato il gusto per il fraseggio, per il legato, per i tutti colori vocali dal fortissimo al pianissimo sussurrato; e un monito: si comincia a capire e padroneggiare davvero la propria voce solo dopo i 50 anni. Arrivato a quell’età, e precisamente a 54 anni, ho sentito come la mia voce fosse cambiata di molto: era cresciuta, si era ingrossata; e così, dopo almeno 25 anni di Belcanto (Donizetti, Bellini e tanto Rossini), ho cominciato a convertire il mio repertorio verso parti sempre più liriche e drammatiche, ma senza cambiare tecnica di canto, senza forzare i limiti naturali della mia voce".

Pure col temutissimo Otello?

"Quando lo canto, non penso alla parte vocale, ma al personaggio, che ormai ho nel cuore: in questo modo, anche la voce, l’espressione, i gesti si armonizzano naturalmente alla sua vicenda umana, e sin la frase vocale più impervia diventa facile, perché percepisco la mentalità che la produce".

Nuovi, immancabili, debutti?

"Imminenti sono Fidelio a Nizza e Arianna a Nasso a Dresda. Ma pure Andrea Chénier sarà per me un ri-debutto, perché l’ho cantato solo una volta, molti anni fa. Poi non vedo l’ora di affrontare il drammaticissimo Billy Budd di Britten: per me, cantante americano di tecnica italiana, è una vera sfida cantare sulle vocali inglesi! Da ultimo, arriverò a Wagner, molto presto...".

Finirà pure lei come baritono?

"Ah no! (ride, ndr). L’ho detto al maestro Domingo che non gli farò concorrenza: troppo difficile. Quando non sarò più in grado di cantare da tenore, voglio fare il basso, voglio interpretare Sparafucile". E intona un ‘Fa’ profondissimo: "Le note gravi ci sono già tutte!".