Minacciata, soggiogata, picchiata, privata di contatti liberi con familiari e figlia o di indossare vestiti "che ne esaltassero la femminilità". Fino all’atto estremo, l’assassinio. Parole durissime quelle del procuratore aggiunto Francesco Caleca nei confronti di Giuseppe Cappello, 44 anni bolognese, in carcere da luglio – il 29 il Riesame deciderà sull’eventualità dei domiciliari per un problema di salute – con l’accusa di aver ucciso la ex amante, Kristina Gallo. Soffocandola dopo l’ennesimo litigio. Inchiesta ora chiusa con l’atto 415bis, che di fatto anticipa la richiesta di processo, notificato a inizio settimana. Omicidio volontario aggravato dallo stalking, le bordate nei confronti di chi ora è pronto a raccontare la ’sua’ di verità davanti al magistrato dopo essersi avvalso della facoltà di non rispondere dopo l’arresto (venne sentito un paio di volte inizialmente ma ancora con lo status di persona informata sui fatti). "Il nostro assistito – spiegano i legali Alessandra Di Gianvincenzo e Gabriele Bordoni – vuole rendere interrogatorio. Da parte nostra, stiamo ragionando su temi necessariamente da sviluppare e su prove da introdurre a sostegno della nostra tesi d’innocenza".
L’INFERNO
Il corpo di Kristina, 27 anni, venne trovato dal fratello sul pavimento dell’appartamento di via Andrea Da Faenza dove giaceva da giorni. Era il 26 marzo 2019 – la morte tra il 22 e il 24 – e ci sono voluti tre anni e mezzo di indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo, e 6mila telefonate nascoste analizzate, per ricostruire la tragedia, e arrivare al presunto assassino. Che già da tempo era indagato per stalking per fatti andati avanti dall’autunno 2016 al febbraio 2019. Un periodo in cui la vita di Kristina si trasformò in un inferno, "costretta – scrive il pm – a vivere una perdurante, assoluta condizione di soggezione e paura per la propria incolumità, fino a ridurla in uno stato di segregazione morale, imponendole radicali mutamenti delle proprie abitudini di vita". Dall’abbandono del lavoro, "per ridurre le occasioni di contatto con altri uomini", alla privazione di telefono e pc per evitare accessi "sui social network". Addirittura lui la obbligò a "non ricevere notizie della figlia, avuta da una precedente relazione, se non tramite il cellulare dell’indagato". Nessun contatto nemmeno con i genitori, "se non con l’uso di biglietti manoscritti". Poi le botte, i lividi sulla pelle, le minacce di morte ("ti apro la testa; tu vieni con me fino alla fine"). Oltre a sequestrarli, i telefoni di Kristina venivano distrutti "per impedirle di avere relazioni umane con altri". L’ultimo sfregio: sorvegliata continuamente da Cappello, non poteva indossare "abbigliamento che ne esaltasse la femminilità". Per l’indiavolata gelosia dell’uomo.
Nicola Bianchi