Kepler-452 sulla nave dei migranti: "Certe storie vanno raccontate"

Baraldi e la compagnia teatrale annunciano lo spettacolo, prodotto da Ert, tratto dal reportage sulla Sea-Watch

Kepler-452 sulla nave dei migranti: "Certe storie vanno raccontate"

Enrico Baraldi, 30 anni, fa parte della compagnia teatrale Kepler-452

di Amalia Apicella

Il 29 luglio la Sea-Watch 5 attracca al porto della Spezia con 156 migranti. A bordo ci sono donne in gravidanza, 43 minori, 18 quelli non accompagnati. Percorre oltre mille chilometri per arrivare in Liguria, ci impiega quattro giorni (queste le disposizioni). Nicola Borghesi ed Enrico Baraldi della compagnia teatrale Kepler-452 erano sulla nave, ci sono rimasti per un mese: sveglia alle 6, cena alle 18. A febbraio proveranno a raccontare sul palco dell’Arena del Sole quello che è successo.

Baraldi, come nasce l’idea dello spettacolo, prodotto da Ert, A place of safety?

"Un anno fa abbiamo iniziato a collaborare con la Open Arms. Parlando con chi si è imbarcato, abbiamo avuto la sensazione che ogni storia avesse bisogno di essere raccontata".

I soccorsi nel Mediterraneo, l’assegnazione del porto a La Spezia: quattro giorni di navigazione. Com’è andata?

"Se vogliamo trovare il lato positivo, abbiamo passato qualche giorno in più con le persone migranti a bordo. Facevamo dei turni di guardia per controllare che nessuno cadesse in acqua. Non volevano mai dormire. Mi parlavano in arabo, e io non capisco una parola, ma le conversazioni duravano ore: avevano voglia di raccontare e io di ascoltare".

La prima missione?

"Una piccolissima barca sovraffollata, con persone principalmente subsahariane. Quando hanno capito che non saremmo tornati in Libia sono esplosi in pianti di gioia. Pochi minuti dopo abbiamo soccorso un’altra imbarcazione con 130 persone stipate".

Nello spettacolo lavorerete con persone che avete incontrato sulla Sea-Watch?

"Siamo interessati a una persona dell’equipaggio, José. È l’elettricista della nave, messicano emigrato negli Stati Uniti, sulla Sea-Watch ha trovato un riscatto politico. Volontari e volontarie trascorrono lì le proprie ferie, è interessante indagare le loro identità e biografie".

L’immagine che le ha fatto più male?

"Una donna siriana in viaggio da sola. Le bombe le avevano portato via gli affetti e tolto un tetto. Forse ci ho visto mia madre, non lo so. Ma l’immagine è questa: una signora di più di 50 anni, forse 60, che ha deciso di partire, andare in Libia, finire in carcere e poi salire su una barca. Da sola".

Pensate di lavorare anche con le persone soccorse?

"Monitoreremo i percorsi per raccontare cosa succede ad alcuni di loro arrivati in Italia".

Nel 2025 Kepler-452 spegnerà dieci candeline. Come si è avvicinato al teatro?

"Al liceo ho iniziato con il laboratorio tenuto da Nicola. Non per il teatro, mi interessava una ragazza (sorride, ndr)".

E come andò?

"Con la ragazza male, però ho trovato Nicola. E il teatro. Dopo il primo anno di Lettere decisi di lasciare l’università per studiare alla scuola di teatro Paolo Grassi di Milano".

Prima di imboccare questa strada quali erano i piani?

"Ho sempre pensato di fare il regista di cinema. Lo dico sottovoce, ma si sta avverando".

Il suo spettacolo Non tre sorelle aveva dato il via a un documentario sul teatro e sulla guerra in Ucraina, Dear Audience. A che punto è?

"In fase di montaggio, dovrebbe uscire in autunno. È prodotto da Dis Film, l’agenzia di distribuzione di mio padre Sauro, scomparso nel 2016. Con il tempo ho capito che avrei voluto trasformarla in qualcosa di mio e proprio il giorno prima di partire con la Sea-Watch ho firmato per la trasformazione: da agenzia di distribuzione a società di produzione".