Quella di stasera al Locomotiv è la seconda data del tour che vede di nuovo insieme sul palco 25 anni dopo il primo disco ’Rospo’, John De Leo e i Quintorigo, ed è già sold out. L’addio tra il cantante e gli altri componenti della band era avvenuto dopo l’uscita dell’album ’In Cattività’ del 2003. John De Leo e il sassofonista Valentino Bianchi riavvolgono il nastro per noi.
Ci voleva un pretesto per farvi ritrovare?
John: "Evidentemente sì, perché avevo già avuto l’idea di ricontattare i miei amici ‘quattroquinti’ per un paio di brani di un disco qualche tempo fa. I 25 anni di ’Rospo’ sono stati il motivo scatenante". Valentino: "Noi quattro, questa cosa di ritrovarci l’avevamo pensata un po’ di anni fa, ma i tempi non erano maturi. Il pretesto ha trovato terreno fertile e la proposta è arrivata proprio da John".
Perché vi siete separati?
John: "Era arrivato un momento, dopo 12 anni e una convivenza assidua, in cui il gioco si era deteriorato e poi rotto. Essendo caduti in una voragine pop, definizione cui non attribuisco un’accezione negativa, si erano creati dei disequilibri nei ruoli. Il successo può scardinare certi equilibri nella testa di qualcuno". Valentino: "La domanda bollente. Dissapori ce ne sono stati, non possiamo essere ipocriti. Era un momento particolarmente stressante anche se eravamo all’apice della nostra piccola carriera. Per fare una battuta posso dire ‘è stata colpa di una donna’, come succede nelle grandi band. Ci sono state delle divergenze soprattutto sull’approccio al lavoro. C’era chi faceva fatica a sostenere i ritmi e chi invece avrebbe voluto cavalcare l’onda. Dopo tanto tempo posso dire che una convivenza forzata per 200 giorni all’anno, ha rotto il giocattolo".
John, cosa prova nel rivedersi con le trecce a Sanremo nel 1999, con quel look naif che oggi all’Ariston sarebbe impossibile da sfoggiare? È rimasto fedele a quella ribellione sonora?
"L’estetica è una cosa. Oggi mi risulta molto discutibile perché era un impeto tardo-adolescenziale che aveva a che fare con qualche forma di ribellione. Non possiamo negare di esserci divertiti a Sanremo, era un’esperienza paradossale. L’unico modo in cui si poteva entrare in un contesto mainstream, per noi era con un’attitudine punk e sovversiva, per poter dire qualcosa. Quando invece parliamo di fedeltà mi si anima qualcosa che è ancora viva oggi. Fede ad un rispetto per l’intelligenza del pubblico che non ci piace raggirare. Se si approccia un brano pop, lo si fa in modo plateale ed evidente e in quel contesto ci si sforza di immettere altre suggestioni. Non ci comprerete perché sguazziamo nel pop, ma perché si possa contaminare questo mondo, con altro".
Valentino, cosa vi è mancato di John?
"Non era solo un cantante, era compositore e arrangiatore, come ognuno di noi, in un ménage democratico faticoso e dialettico, con anche scontri su una singola nota. Non c’è mancata solo la sua voce ma anche il suo contributo a livello compositivo, perché John ha un gusto molto raffinato e un background notevole".
A lei John cosa è mancato dei ’quattroquinti’?
"L’attitudine classica o pop alle prove. Nel corso degli anni mi è sempre stato difficile poter fare tante prove. Non so se oggi riusciremo a fare tante prove, ma soprattutto quando si parla di musica scritta, l’attitudine deve essere quella del quartetto classico, dove si prova infinite volte l’insieme. Salvaguardato questo aspetto, un gruppo qualsiasi diventa una macchina da guerra".