"Sono fiera di aver fatto un percorso che mi ha sempre fatto battere il cuore, di aver scelto liberamente tanti passi della mia vita. Fiera di saper accettare le mie imperfezioni". È dunque con il ’Fiera di me tour’, intitolato come il suo singolo uscito a maggio, che Irene Grandi approda nei teatri di tutta Italia, celebrando così i suoi 30 anni di carriera. Stasera alle 21 al teatro Duse la cantante italiana salirà sul palco assieme al chitarrista Max Frignani, Piero Spitilli al basso, Fabrizio Morganti alla batteria, Marco Galeone alle tastiere, e a Titta Nesti, polistrumentista, per la tappa bolognese del tour organizzato da Imarts – International Music and Arts, con partner ufficiale Radio Subasio
Irene Grandi, celebra i suoi trent’anni di carriera nei teatri: che cosa la affascina di questa dimensione?
"Il teatro mi sta piacendo tantissimo, permette una cura particolare dello spettacolo, delle luci, del suono, del progetto: questo concerto è un racconto a tappe della mia carriera, un film di quello che ho fatto".
In questo spettacolo quanto c’e dell’Irene di oggi e quanto di quella degli inizi?
"C’è molto di entrambe. Ho voluto riportare in scena canzoni che, in una piazza, non avrebbero avuto lo stesso impatto, ma che in teatro permettono al pubblico di apprezzare anche i miei brani più soul degli esordi, come ’Che vita è’ o ’Dolcissimo amore’. Definirei metaforicamente questo trentennale un Kintsugi, la tecnica giapponese che, con una polvere d’oro, riunisce i frammenti di un vaso, rendendolo ancora più prezioso. Allo stesso modo, ho voluto recuperare tutti i momenti della mia carriera, molti dei quali sono stati resi contemporanei dagli arrangiamenti del direttore musicale Marco Sabiu, che ha introdotto nuove strumentazioni e variazioni di lunghezza".
Che cosa direbbe a Irene Grandi a inizio carriera? E che cosa si sente di consigliare ai cantanti emergenti?
"Agli inizi ero una ribelle, poi ho imparato ad ascoltare le persone accanto a me che avevano più esperienza, dal mio produttore al mio autore. Ora si tende a buttare fuori musica senza confrontarsi con le generazioni più grandi, mentre questo dialogo potrebbe arricchire di originalità e musicalità. Vedo molta omologazione e cliché ripetuti nella musica di oggi, cosa che noi cercavamo di evitare".
C’è qualcuno che invece apprezza tra i giovani cantanti italiani?
"Certo, ci sono artisti che stimo molto: trovo che Madame sia davvero particolare, ricercata nella scelta delle basi e originale nel suo modo di scrivere. Anche Levante mi colpisce per le sfumature interessanti nella produzione musicale; mi piaceva molto anche Calcutta anche se ora l’ho perso di vista, poi ci sono Gazzelle, Alfa e altri ancora. Alcuni cantati sono bravissimi ma distanti dal mio mondo, come Mahmood, che trovo abbia tratti internazionali molto interessanti".