Vengono chiamati ‘angeli blu’, perché indossano una casacca del colore del cielo e del mare. E sono angeli, perché assistono i pazienti di alcuni reparti del Sant’Orsola, stando al loro fianco nei momenti di convivialità e in quelli più complicati. Sono i volontari della Fondazione Sant’Orsola, una squadra di 263 persone. Tra queste, Joost Rijnbeek, di 43 anni.
Rijnbeek, com’è entrato nel team?
"Sono un volontario da tre anni e mezzo circa. Nel 2016 sono stato io stesso paziente del Policlinico Sant’Orsola, dove mi hanno salvato la vita. Ho deciso di voler ripagare questo incredibile trattamento, del quale sono molto grato".
La sua esperienza, quindi, nasce col Covid. "In quel periodo ho trovato un annuncio della Fondazione, che cercava delle figure per i punti di accesso nelle aree del triage. Durante il lockdown uscivo di casa solo per questo, ma poi ho iniziato a occuparmi anche di altro".
Cioè?
"Ora mi occupo dell’assistenza ai pasti, in particolare nel reparto di geriatria, ma anche in medica interna. È diventato un servizio fondamentale per me, è molto bello, perché stiamo vicino ai pazienti. Ma ci occupiamo anche di promozione e di organizzazione, con eventi all’esterno della struttura".
Che sensazione è svolgere questo servizio?
"È una cura sia per chi lo riceve sia per chi lo attua. Oltre allo staff medico, il nostro operato sta vicino ai pazienti, alcuni sono molto soli. Ci prendiamo cura anche di persone non autosufficienti: passare del tempo con chiunque di loro è un regalo".
Cosa direbbe a chi non conosce questo mondo?
"Faccio un lavoro molto impegnativo: sono responsabile livello mondo della rete di vendita e business development di Ducati, spesso quindi sono via per lavoro. Ma il sabato non vedo l’ora di andare al Sant’Orsola: quando esco da lì, tutto diventa relativo. Le cose importanti della vita sono altre. L’energia che impiego durante il volontariato mi viene ripagata coi sorrisi dei pazienti e con le loro mani che stringono le mie".
Mariateresa Mastromarino