MARCO SANTANGELO
Cronaca

Insulti a Liliana Segre a Bologna, il no green pass Capitani: "Non sono razzista"

L'attivista pass prova a fare dietrofront dopo le polemiche: "Siamo vittimi di una capagna d'odio, lei può capire"

I 'no green pass' in piazza Maggiore (foto Schicchi)

I 'no green pass' in piazza Maggiore (foto Schicchi)

Bologna, 16 ottobre 2021 - Ieri, da un palco improvvisato in piazza Maggiore, aveva attaccato la senatrice Liliana Segre definendola "una donna vergognosa che dovrebbe sparire": è avvenuto al termine del partecipatissimo corteo no green pass (video) che ha attraversato Bologna (e oggi si replica).

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Oggi, invece, Gian Marco Capitani del movimento No Green Pass fa dietrofront e ritira le offese scagliate contro la superstite dell'Olocausto. E lo fa con una lettera aperta di scuse: “Ho usato un termine infelice, ma mi aspetto una presa di posizione. Nell'impeto del momento ho detto che lei dovrebbe sparire da dov'è, mi dispiace di non essermi espresso in modo più appropriato”. Poi prova a fare chiarezza: “La mia opinione è legata al ruolo di presidenza di Commissione per il contrasto all'intolleranza che Segre occupa e credo che abbia il dovere di esprimersi contro ogni violenza, anche se è rivolta a chi non la pensa come lei”. 

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Ma quello di Capitani resta un mea culpa con il quale non solo tenta di sciogliere ogni fraintendimento, ma  anche di scagionarsi dalle accuse di razzismo: “Non sono razzista, non ho mai negato la Shoah e di certo non sono antisemita. Ho provato ad interloquire con Segre nella certezza di poter trovare ascolto e mi son ritrovato giudicato per una singola parola”. Nella lettera aperta il membro del movimento No Green Pass, rivolgendosi alla senatrice, parla di una “campagna d'odio” innestata contro chi “ha un'opinione diversa sulla vaccinazione di massa in corso”. Ed è proprio per questo che si era rivolto a Liliana Segre, “perché sono certo che lei più di chiunque altro possa capire cosa significhi sentirsi discriminati e comprendere cosa significhi essere segnati con una sorta di marchio di infamia”.