BENEDETTA CUCCI
Cronaca

L’Inde le Palais chiude: se ne va un pezzo della Bologna del lusso, meta di vip e stilisti

Addio al negozio di moda in via de’ Musei, aperto a inizio anni 2000. Da Moby a Terry Richardson, fino alle vetrine e ai capi unici in mostra. Ma anche ‘scoperte’ inedite per le più grandi boutique del mondo

Chiude l’Inde le Palais, negozio visitato da stilisti e vip

Chiude l’Inde le Palais, negozio visitato da stilisti e vip

Bologna, 1 agosto 2024 - Un pezzo di Bologna “la luxury” se ne va: chiude L’Inde le Palais dopo oltre vent’anni di storia. Basta fare un giro in via de’ Musei per notare le vetrine oscurate dello store, di proprietà dal 2020 di O’ srl dell’imprenditore di Parma Giordano Ollari, che, senza particolari cartelli, dicono addio al pubblico. Era il 2001, quando aprì in un palazzo storico del centro, questo negozio su tre piani che pareva arrivare da una galassia lontana. Tutto così perfetto, organico, con moda all’avanguardia. Fu un’assoluta innovazione per lo stile, perché L’Inde mise Bologna al centro di una geografia internazionale dove non era mai stata, nonostante i famosi stilisti già si vendessero qui. Ma, appunto, non era tanto “il famoso stilista” che interessava a chi ebbe l’intuizione commerciale di fondare all’ombra delle Due Torri il primo concept store della città, ovvero Jacopo Tonelli. Lui ebbe l’idea di aprire qui uno store complesso dedicato ai brand di ricerca, come parte di un lifestyle urbano che si fonde con arte contemporanea, musica, editoria scelta, street culture.

L’Inde le Palais era esattamente questo. Portava finalmente anche tra le nostre mura, ancora così lontane dal boom turistico mordi e fuggi, quella ricerca che i colti fashionisti avevano già tanto amato in 10corsocomo a Milano (creato da Carla Sozzani), dove andavano in pellegrinaggio dal 1991, o da Colette a Parigi, a caccia di pezzi o suggestioni stilistiche uniche. E per tutta la sua storia ha saputo davvero stupire con vetrine bellissime e azzardate per gli accostamenti, una proposta di brand “scoperti” e scelti per i loro direttori artistici (Phoebe Philo per Celine, Riccardo Tisci per Givenchy, Pierpaolo Piccioli e Maria Grazia Chiuri dal 2008 al 2016 per Valentino) e designer cutting edge come Rick Owens con il suo corner dal giorno zero, ma anche con eventi originali. Come quando nel 2011 arrivò Moby per presentare il libro ‘Destroyed’ per Damiani, tenendo anche un piccolo live unplugged per soli 150 spettatori nel cortile dell’Archeologico e poi rispondendo alle domande del pubblico seduto sul front desk di cristallo dello store.

O quando nel 2004 atterrò sotto il Portico della Morte Terry Richardson, il fotografo più figo del regno terracqueo degli anni Novanta/inizio Duemila, con i suoi scatti trasgressivi e provocatori di gente cool che si diverte e si gode la vita, in città per presentare il suo libro allora più scandaloso sempre edito da Damiani, ‘Kibosh’, da cui erano state tratte 30 fotografie esposte al concept store di via de’ Musei. E che dire di quando John Galliano mandò gli abiti disegnati per Milla Jovovich per ‘Il Quinto elemento’. Oltre dieci anni fa L’Inde entrò anche nella lista dei migliori concept store del mondo del New York Times, ma guarda caso, ad oggi, molti di quei nomi sono defunti e la parola “concept store” ha perso senso: la ricerca è sempre più difficile, contano i numeri del lusso e il business ha guadagnato strada a discapito della qualità.